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ANPI
Cividale del Friuli

commemorazione dei
"Martiri della Libertà"

intervento di Albertina Soliani

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Sezione di Cividale del Friuli - Anselmo Calderini "Ivan"
Città decorata con Medaglia d’Argento al V.M. per i fatti della Resistenza

 

Cara Sindaco, Cari Sindaci, Famigliari delle vittime, Autorità civili e militari, Associazioni Partigiane, combattentistiche e culturali, italiane e slovene, Cittadini di questa terra, così gentile, così gloriosa, che ha sempre contato sulla sua miôr zoventût,

noi siamo qui, oggi, perché nei luoghi dove abbiamo sostato noi siamo nati alla libertà.
All'ingresso del campo sportivo, oggi Martiri della Libertà, dove 79 anni fa furono fucilati otto partigiani, di cui tre di nazionalità slovena. Fucilati dai militi fascisti, la Milizia di Difesa Territoriale, servi dell'occupante nazista.
Poco più di un anno prima l'8 settembre 1943, era nata la Resistenza all'oppressione nazifascista che aveva condotto l'umanità nel baratro della guerra e dell'orrore. E qui, al ciamp des verzis, saranno portati a morire almeno 105 civili, militari e partigiani, molti dei quali rimasti ignoti.
Quasi ogni giorno, nel silenzio dell'alba, nello sgomento della popolazione, con la natura stessa muta e smarrita.
Sono passati ormai 80 anni dall'eccidio delle “Fosse del Natisone”, ma noi continuiamo a venire qui, ogni anno, perché qui è nata l'Italia libera, è nata la Costituzione che ci è così cara.
E’ rinata la Patria, parola più libera che non la nazione, radice di ogni nazionalismo.
Qui è nata la nuova Europa, l'unità di popoli diversi, a lungo, nei secoli, dilaniati dai conflitti, e alla fine della guerra impegnati a costruire la pace. Quel 1° maggio del 1945, quando i partigiani liberarono la città di Cividale del Friuli, nasceva una storia nuova. Cividale del Friuli, città decorata con Medaglia d'Argento al valor militare.
Questa terra orientale, che aveva patito così tante lacerazioni, e aveva visto arrivare fin qui cosacchi, calmucchi e turkestani, era chiamata a unire in un unico destino, di pace e di progresso, popolazioni diverse, chiamate a fare degli antichi confini luoghi di incontro, di relazioni, di scambio. Non muri, ma ponti.
Quanto più si sono patite lacerazioni, tanto più si può costruire l'unità. Se scegliamo di far vivere i valori umani universali: il rispetto della dignità delle persone, la libertà, l'uguaglianza, la solidarietà, la pace. Essi non dipendono dalla provenienza, dalla lingua, dalla condizione
sociale, dalla convinzione politica. Dipendono da un patto libero di convivenza civile.
Grazie, cari amici, di avermi chiamato a condividere con voi questo giorno. La memoria di così tanto dolore, la consapevolezza dell'eredità che ci è stata donata: la democrazia, la pace. Donata a noi a così caro prezzo. Un manifesto di futuro per questa terra, per l'Italia intera. I Martiri di Cividale hanno fatto la nuova Italia.
Nel duello sfolgorante, come dice la Sequenza Pasquale, tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, nell'urto della storia, sullo spartiacque tra civiltà e barbarie, la Resistenza ha scelto il lato giusto della storia.
Ressero quell'urto i partigiani e le popolazioni che li aiutavano, lo ressero le donne, protagoniste come Maria Peressin, staffetta partigiana, qui fucilata. E cambiarono la storia.
Resse la loro coscienza, compiendo una scelta morale prima ancora che politica: la scelta della libertà contro l'oppressione. La scelta dell'umanità contro la disumanità.
Vengo da Casa Cervi, nella pianura reggiana: dal luogo che ha visto l'impegno antifascista di un'intera famiglia di contadini, contadini che studiavano. La sera, nella stalla, dopo il lavoro nei campi. Vengo da una terra che ha visto il sacrificio dei sette figli maschi di quella famiglia,
insieme con il compagno Quarto Camurri, fucilati al Poligono di tiro di Reggio Emilia, all'alba del 28 dicembre 1943, ottant'anni fa, in questi giorni. Un sacrificio che è diventato il simbolo del riscatto di un popolo. Sette fratelli, quasi una storia biblica.
Per primi avevano portato nei campi un trattore, e sopra il trattore avevano messo un mappamondo. Un'idea della vita, una visione del futuro.
In quella fine del '43, e qui nel 1944, sembrava che tutto fosse compiuto. Qui, quando ogni giorno si sentivano gli spari, in questo luogo, e le persone bendate, con le mani legate, cadevano sulla riva del Natisone.
Ma sarebbe venuto il 25 aprile, dopo lunghi mesi di lotta, di rastrellamenti, di eccidi.
Nasceva, con la Resistenza, un mondo nuovo.
Nasceva sulle spiagge della Normandia, nelle contrade di Stalingrado, alle Midway nel Pacifico, sulla Linea Gotica, e in quest'area dell'Italia, che guarda a Oriente, dove si è infranto il disegno folle degli occupanti sul Litorale Adriatico.
Nasceva un mondo nuovo, desideroso di pace, che affermava, il 10 dicembre 1948, i diritti umani universali, che costituiva le Nazioni Unite.
Nasceva l'Italia nuova, democratica, dopo la vergogna del ventennio fascista, dell'occupazione coloniale, delle leggi razziali, della guerra.
Noi, che siamo nati allora, siamo figli del sogno dei partigiani e del sacrificio della loro vita.
Che ne è oggi, 80 anni dopo, di quel sogno?
Sembra che siamo da capo. Con la pace quasi impossibile, le democrazie indebolite, l'orrore della disumanità che attraversa la società e il potere. Quando sembrano dominare il mondo i pochi, con la forza delle armi, del denaro, della violenza, delle fonti energetiche. Quando i conflitti colpiscono le popolazioni civili, come a Gaza, a Kiev, in Myanmar. Quando le vittime più frequenti sono i bambini. Quando le donne sono oppresse e cancellate come in Afghanistan, incarcerate e uccise come in Iran. Quando la sedia del Premio Nobel per la Pace resta vuota in questi giorni a Oslo e ritirano il premio i figli di Narges Mohammadi, attivista iraniana per i diritti umani, incarcerata da anni a Teheran.
Siamo da capo. La stessa cosa, identica, accadde nel 1991 quando a ritirare il Premio Nobel per la Pace, assegnato ad Aung San Suu Kyi, leader della democrazia in Birmania, furono i suoi due figli. Lei era da anni agli arresti domiciliari. Oggi è di nuovo incarcerata e isolata dal mondo, dopo il colpo di stato dei militari. L'intero suo popolo resiste con lei e sta vincendo, di fronte a una comunità internazionale sostanzialmente indifferente.
Ogni generazione ha da compiere la sua resistenza.
In Italia può accadere che siedano sullo stesso palco alla Scala di Milano il Presidente del Senato, figlio della cultura fascista, mai rinnegata, e Liliana Segre, senatrice a vita, che ha attraversato Auschwitz.
È la democrazia, cari amici, che parte dalle elezioni. Ma guai a dimenticare. C'è chi è stato sul lato sbagliato della storia, e non se ne è ancora pentito.
La democrazia è un bene delicato, diceva Tina Anselmi: “fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l'assunzione
di responsabilità di tutto un popolo”.
Ecco perché siamo qui oggi. Non solo per fare memoria. Non basterebbe. Siamo qui per prenderci la nostra responsabilità, oggi, di popolo che deve coltivare la democrazia, educare le nuove generazioni, fare dell'Italia un paese non rassegnato al peggio, ma consapevole delle sue radici, della sua cultura, della direzione che esprime la sua Costituzione: la quale vuole tutti liberi e uguali, con i diritti riconosciuti e i doveri esercitati.
E se la politica appare inadeguata, ci sarà sempre un popolo che non dimentica, che raccoglie il sogno dei resistenti e dei Costituenti, e lo fa vivere nell'Italia di oggi. Un Paese che spera, che accoglie, che protegge, che sta nel mondo con dignità e onore. Che combatte la paura, la sfiducia, il razzismo, l'indifferenza, che guarda ai migranti come a persone con la nostra stessa dignità. Un Paese antifascista, una Costituzione antifascista. Che non prevede uno solo al comando, un Parlamento indebolito, lo squilibrio dei poteri, la disuguaglianza dei territori.
Un’Italia senza cultura antifascista è fragile, solo una politica democratica e antifascista può darle forza e solidità.
Che ciascuno di noi sia un rifugio sicuro per la democrazia.
Il sogno dei partigiani è anche il sogno di un'Europa che parla al mondo con la forza dell'umanità, del diritto, della convivenza di popoli e terre di lingue diverse, di costumi diversi.
Voi qui lo sapete bene. Un'Europa che dall'Atlantico agli Urali, ai Balcani, ripudi la guerra e custodisca la pace.
Saremo chiamati noi, nei prossimi mesi, a decidere quale sarà il futuro dell'Europa. Le elezioni europee saranno “un grande esercizio di democrazia”, come ha detto di recente il Presidente Mattarella. Un esercizio di democrazia totalmente nelle nostre mani.
Ottant'anni dopo il Manifesto di Ventotene nulla di meno dobbiamo volere, cercare, costruire.
Se negli ultimi sessant’anni l’Unione Europea ha protetto le nostre vite, quanto più di essa avremo bisogno nel tempo presente e nei prossimi anni.
Non dite che siamo sfiduciati, che non ne vogliamo più sapere. Giacomo Ulivi, il diciannovenne di Parma fucilato a Modena nel novembre 1944, così scriveva ai suoi compagni di liceo:
“ricordate che tutto è successo perché non ne avevate più voluto sapere”.
Cari amici, non possiamo lasciare questo luogo abbandonando qui il suo potente messaggio. Lo dobbiamo portare con noi, dirlo, a voce alta, ovunque.
Con le donne in prima fila, perché questa è la rivoluzione che è davanti ai nostri occhi oggi. È per questo che ogni giorno le donne vengono minacciate e uccise. Lo dobbiamo gridare con i giovani, decisi a salvare il pianeta e il loro futuro. L'ottantesimo della Resistenza, dal 2023 al
2025, è il tempo di una grande educazione nelle scuole: alla memoria, alla democrazia, all'assunzione di responsabilità. A questo l'ANPI è chiamata, a seminare nell'animo delle giovani generazioni per i prossimi ottant'anni.
Non rassegnamoci a quello che passa oggi davanti ai nostri occhi: l'orrore della guerra, la debolezza dell'ONU, le disuguaglianze crescenti, la fragilità delle democrazie, la lontananza dell'orizzonte della pace. Mentre cresce la brutalizzazione delle relazioni internazionali, mentre
si moltiplicano le aggressioni che pensano di rimanere impunite, e le guerre si trasformano nella carneficina dei popoli, noi continueremo a credere nel valore della politica, del confronto internazionale, del dialogo.
Perché noi ci sentiamo, prima di tutto, appartenenti all’umanità.
Noi sentiamo oggi, urgente più che mai, il grido di Isaia: “Spezzeranno le loro spade per farne aratri, trasformeranno le loro lance in falci. Una nazione non alzerà la spada contro un'altra nazione, contro un'altra nazione non impareranno più l'arte della guerra” (Isaia 2, 4).
Questo è il cessate il fuoco che invochiamo, subito, in nome dell'umanità. Premessa per una trattativa sapiente, per una convivenza pacifica di popoli e stati, per un futuro di fraternità per tutti. “Fratelli tutti”, è l’unica bussola per il futuro.
Questo attende la generazione presente, questo attendono le generazioni future.
Come allora, la nostra scelta è la stessa. Resistere, con la forza dei valori umani. Difendere la verità, contro propaganda e negazione. Educare i giovani, la speranza del futuro dell'umanità.
Questo è possibile, la storia lo insegna. Sono sempre i popoli che decidono il loro destino.
Continua con noi la memoria dei nostri caduti.
Un filo robusto ci lega a loro.
Camminiamo sulla strada che essi hanno aperto. Essi camminano con noi, anzi, davanti a noi.
Sono lampada ai nostri passi.

Viva la Resistenza,
Viva l'Italia antifascista,
Viva la Costituzione,
Viva l'Unione Europea,
Viva la pace nel mondo,
Viva Cividale del Friuli, terra di libertà,
grazie ai caduti alle Fosse del Natisone
Viva Cividale del Friuli, terra di libertà, grazie ai caduti alle Fosse del Natisone.

Cividale del Friuli, 17 dicembre 2023 

Albertina Soliani
Vicepresidente Nazionale dell'ANPI

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