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Cividale del Friuli

repressione
antipartigiana in Friuli

Cividale del Friuli, 15 dicembre 2012

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Nota della redazione: proponiamo qui di seguito i passaggi più significativi dell'intervento della storica Irene Bolzon, autrice del libro "Repressione antipartigiana in Friuli. La caserma Piave di Palmanova e i processi del dopoguerra"- ed. KappaVu

E' opportuno inquadrare il contesto in cui ha luogo la vicenda della Caserma Piave di Palmanova. Ci troviamo in un Friuli che è il cuore della zona di operazione “Litorale Adriatico”, un'area amministrativa sottoposta direttamente alle autorità germaniche che si estendeva dalla provincia di Udine a quelle di Trieste, Gorizia, Lubiana, Fiume e Pola.
E' una storia che si svolge nella Bassa friulana e che vede nella primavera del '44 un fiorire interessante di esperienze resistenziali. Qui opera “l'intendenza Montes” che, fondata da Silvio Marcuzzi (nome di battaglia “Montes”) ha il compito di approvvigionare la resistenza in montagna raccogliendo cibo e vettovaglie in pianura. Una esperienza, la più grande del suo genere in Nord Italia, che merita molta attenzione per il particolare contesto in cui si è sviluppata. Attorno alla intendenza operano i GAP, squadre formate da pochi uomini che conducono una sorta di guerriglia urbana contro i quadri militari occupanti e che svolgono anche una importante azione di “intelligence”. Nella zona opera anche un comando unificato Osoppo-Garibaldi. Il comando della polizia segreta germanica decide di rimettere mano all'impianto repressivo per riprendere il controllo del territorio e istituisce in Regione 4 centri per la repressione del movimento di resistenza: uno a Villa Giacomelli a Pradamano, uno a Pradamano, uno in via Cairoli a Udine, uno a Tolmezzo e uno, il più importante, presso la Caserma Piave di Palmanova. Quest'ultimo lavorerà con sinistra “efficienza” dal settembre del 1944 fino ai primi giorni dell'aprile 1945.
Il centro di Palmanova appena costituito, anche se formalmente sottoposto all'autorità tedesca, sarà organizzato e guidato da Odorico Borsatti, un giovane di Pola inserito nelle SS, che a capo di un gruppo a cavallo di SS volontarie italiane e tedesche sarà ospitato nella Caserma Piave. Per capire l'importanza di questo centro dobbiamo ricordare che dal novembre del 1944 all'aprile del 1945 furono registrati in questa struttura oltre 500 prigionieri e di questi 113 morirono per tentata fuga. Questa dicitura nasconde la vera causa della morte: fucilazione arbitraria o morte a seguito di torture e violenze. Un dato parziale che emerge dalla lettura di registri interni trovati in modo avventuroso nei giorni della Liberazione che non tiene conto delle persone che sono state uccise durante le operazioni sul territorio e che non passarono quindi per la caserma. Una struttura efficiente al centro di una struttura reticolare con diversi distaccamenti, il più importante a Muzzana, che supportano il centro di Palmanova. La stessa Banda Collotti da Trieste si sposta nella Bassa per collaborare a diverse operazioni contro la Resistenza. Lo scontro fra nazifascisti e Resistenza si gioca sulle informazioni che si possono raccogliere con la delazione, l'infiltrazione e la tortura. I rastrellamenti che interessano le aree attorno a Tapogliano e Trivignano Udinese sono guidata da qualcuno che fa la spia e segnala chi aiuta i partigiani o li ospita. Ci sono poi le indagini in incognito portate avanti da fascisti che si travestono da partigiani e vanno in giro per il territorio, compiendo anche qualche atto arbitrario, segnalando chi offre loro aiuto e rifugio. C'è poi il sistema più efficace, quello della tortura su chi viene arrestato e imprigionato. Si insiste molto sui gappisti perché si sa che hanno le informazioni più importanti. La struttura della Caserma Piave non ha nulla di eccezionale perché il sistema di repressione segue cliché abbastanza collaudati che hanno spazio in tutti i centri di repressione attivi in Regione. Il Borsatti quindi lavora secondo schemi già strutturati anche se ci mette del suo. La fine del gappista Emilio Da Ponte, squartato con l'utilizzo di 2 cavalli è sintomatica del suo modo di agire. La strategia funziona bene perché da una parte scoraggia la popolazione dall'aiutare la Resistenza e dall'altra agisce in modo offensivo contro il movimento partigiano.
Borsatti è poi un vero e proprio segugio; mette in piedi una rete di informatori efficace che gli permette di arrestare Silvio Marcuzzi, il comandante dell'intendenza che garantiva i rifornimenti al movimento partigiano. Dopo l'arresto, Marcuzzi sarà trasferito alla Caserma Piave dove morirà per le torture subite. Una morte giudicata negativamente dal Comando tedesco che così vede venire meno una importante fonte di informazioni e un possibile oggetto di scambio.
Borsatti viene trasferito a novembre e sostituito da Ernesto Ruggero che guida un gruppo di notevole esperienza composto per lo più da friulani che hanno operato contro la Resistenza jugoslava. All'interno di questo gruppo si distingue un nucleo di persone particolarmente violente nell'esercizio del controllo del territorio e che costituiranno quella che sarà chiamata la Banda Ruggero. Il termine banda ci apre a una altra fase della vita del centro di repressione di Palmanova: siamo ora di fronte a un gruppo che è fuori dal controllo tedesco e agisce attorno a un leader “carismatico”. La banda Ruggiero tappezza la Bassa Friulana di cadaveri spesso abbandonati sulla strada o nei campi senza documenti o oggetti che permettano di agevolare il loro riconoscimento. Esecuzioni arbitrarie ben diverse da quelle perpetrate dai tedeschi che, invece, avvisano la popolazione per dare alla morte dei partigiani e dei loro collaboratori un significato pedagogico. Le azioni della banda Ruggiero sono finalizzate a diffondere il terrore, ma sono anche operazioni poco costruttive che esasperano la popolazione. Nel centro aumenta la violenza che diviene anche insensata: ad Angelo Cerniz vengono strappati a morsi il naso e le orecchie, a tre giovani partigiani di San Giorgio vengono coperti di polvere pirica e incendiati. Violenza pura che anche rende più violento lo scontro con la Resistenza che non rimane passiva di fronte alla negazione da parte dell'avversario delle normali regole militari.
Sarà proprio la Sipo-SD ((Polizia e Servizio di Sicurezza) di Udine, dopo una inchiesta, a chiudere il centro di Palmanova. Per valutare questa violenza, non credo sia opportuno riferirsi alle categorie morali che di solito sono usate in queste occasioni: “non sono uomini, ma bestie”, “sono esseri senza umanità”. Sono invece uomini che hanno operato una scelta ben precisa e il cui comportamento violento è spiegabile alla luce di una ideologia, quella fascista, che ha usato spesso la violenza come mezzo di lotta politica. Ma la violenza non è disgiunta dal forte senso di frustrazione che deriva dalla consapevolezza dell'esito negativo della guerra e dalla persistente bassa considerazione che i tedeschi hanno per le truppe italiane al loro servizio ("buoni a nulla", "traditori", ...). Una violenza che nei giovani seguaci della banda Ruggiero è anche connessa alla "miseria" di chi, non avendo mezzi culturali adeguati, vuole costruirsi con la forza un ruolo nel mondo.
Il centro di Palmanova lavora 24 ore su 24 con rastrellamenti e interrogatori che si succedono in serie e l'attività della caserma altera anche le relazioni fra le formazioni partigiane. Odorico Borsatti, durante il suo processo nel maggio del '45, dichiara di aver avuto rapporti importanti con don Ascanio De Luca (uno dei fondatori della Osoppo) e dichiara di aver consegnato agli osovani dei documenti attestanti questi contatti. I documenti custoditi nell'archivio dell'Osoppo attestano contatti con don Paschini di Colloredo, con mons. Nogara, con Luigi Baiutti e altri che sarebbero iniziati nel novembre del '44 con l'arresto di Eugenio Morra, il Comandante del Comando unico Garibaldi-Osoppo. Dopo l'arresto, Morra dichiara al Borsatti che le brigate Osoppo sarebbero nate per controllare la Garibaldi e avrebbero una importante funzione anticomunista. Questa strategia funziona perché Morra non viene torturato e perché permette al Borsatti di capire che nel movimento partigiano c'è chi combatteva per ragioni simile alle sue. Di fatto si crea un "modus vivendi" basato sull'impegno dell'Osoppo a non attaccare le pattuglie della Caserma Piave durante le operazioni di rastrellamento del territorio e sull'impegno di Borsatti a non “maltrattare” i partigiani catturati che si dichiarano osovani.
Il documento più illuminante di questo accordo è la testimonianza di Italo Zaina, un partigiano dell'Osoppo poi passato alla Garibaldi, che dichiara di aver visto i compagni osovani girare liberi nella caserma e addirittura invitati ad andare al cinema la sera.
Questo accordo personalistico fra alcuni osovani e Borsatti continua anche con l'arrivo di Ruggiero. Su 202 arrestati, 11 sono garibaldini, 81 civili e solo 10 osovani. Di questi solo 5 sono stati torturati, 2 prima degli accordi fra Borsatti Morra e gli altri 3 perché, non a conoscenza dell'accordo, non si sognarono nemmeno lontanamente di dichiararsi partigiani al momento dell'arresto .
Borsatti viene processato da un Tribunale del Popolo e quindi condannato a morte. Contro il parere degli inglesi, viene ucciso in cella nel corso di una irruzione di un commando partigiano nel carcere di via Spalato a Udine. Forse una esecuzione non casuale perché, se Borsatti era un violento torturatore, era anche il custode di troppe cose scomode sulla Resistenza.
Il Tribunale del Popolo chiude i battenti ed è sostituito dalla Corte di Assise Straordinaria che, nel settembre '46, avvierà il processo contro gli esponenti della Banda Ruggiero. Alcuni componenti sono introvabili, altri sono scappati e l'amnistia, interpretata in modo largo da molti tribunali, renderà ben presto molti di questi uomini liberi dopo solo brevi periodi di carcere. L'amnistia di Togliatti sarà poi seguita da numerosi indulti che renderanno innocui tutti i processi di epurazione. Nel '54 tutti i componenti della Banda Ruggiero saranno uomini liberi. Spesso nel corso dei processi imputati adottarono la strategia difensiva dell'obbedienza ad ordini superiori. L'analisi dei documenti però ha messo in evidenza come molti degli imputati compirono atti a loro non richiesti quali, ad esempio, la collaborazione alla pianificazione dei rastrellamenti. Torture e fucilazioni arbitrarie ci indicano che il gruppo si muoveva in modo autonomo e spontaneo. Anche la formazione della Banda Ruggiero fu un atto autonomo.
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