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ANPI
Cividale del Friuli

la Banda Collotti

Cividale del Friuli, 12 ottobre 2013

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Nota della redazione: proponiamo qui di seguito i passaggi più significativi degli interventi della ricercatrice storica Claudia Cernigoi, autrice del libro "La Banda Collotti - Storia di un corpo di repressione al confine orientale d'Italia" - ed. KappaVu" e della storica Alessandra Kersevan

Nel 1942, quindi prima della caduta del Fascismo, nella Venezia Giulia cominciò una forte resistenza a cui il regime fascista decise di contrapporre l'azione di un organo speciale unico nel suo genere, l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza. Questa struttura, in un'ampia zona a cavallo dell'attuale confine orientale si rese protagonista di una feroce repressione contro gli antifascisti e i partigiani italiani, sloveni e croati. Fondato da Giuseppe Gueli, divenne successivamente famosa con il nome di Banda Collotti dal nome del vice-commissario Gaetano Collotti. Nelle righe seguenti vi proponiamo un estratto del dialogo-intervista di Alessandra Kersevan a Claudia Cernigoi che sulla Banda Collotti ha di recente pubblicato un libro importante e originale.

Alessandra Kersevan: Giuseppe Gueli e Gaetano Collotti, chi erano e perché arrivano nella nostra Regione
Claudia Cernigoi:
la battaglia del Nanos nella primavera del '42 diede di fatto l'avvio alla Guerra di Liberazione in Venezia Giulia. I partigiani subirono una pesante sconfitta, ma le autorità italiane si accorsero che il movimento di liberazione stava diventando forte e che bisognava contrastarlo in maniera più efficace. Giuseppe Gueli, che aveva condotto con buoni risultati la lotta contro il banditismo in Sicilia, capisce che per agire contro i partigiani bisogna creare un corpo speciale antiguerriglia che agisca in modo non ordinario perché la resistenza è annidata nei paesi e ha la solidarietà di molte persone. Gueli organizza bene l'antiguerriglia e i risultati all'inizio sono molto positivi: i danni al movimento di resistenza sono pesanti e la repressione contro la popolazione è durissima perché bisogna togliere ai ribelli le basi che potevano renderli operativi. Questo ha significato anche la deportazione di centinaia di persone fin anco di villaggi interi con trasferimenti di molti uomini nei campi di internamento di Cairo Montenotte e, per le donne, di Fraschetti di Alatri. Prima dell' 8 settembre '43 la repressione è quella tipica di un corpo antiguerriglia che opera al di fuori dei centri urbani nell'allora Venezia Giulia (la Venezia Giulia comprendeva un territorio più ampio di quello attuale e si estendeva in Slovenia lungo la Valle dell'Isonzo e in Istria - N.d.R.), dopo l' 8 settembre, con l'arrivo dei nazisti, il corpo si trasforma in uno strumento di repressione più incentrato sulla città e sull'immediato hinterland. La repressione si estende non solo verso chi combatte, ma anche verso chi organizza il supporto e il vettovagliamento della resistenza. In un secondo momento la repressione poi non si limiterà al rastrellamento e alla retata, ma comincerà a occuparsi di informazioni ricorrendo alla delazione e alla tortura.

Alessandra Kersevan: cosa cambia nell'operato dell'Ispettorato?
Claudia Cernigoi:
le azioni diventano più mirate. Ci sono gli arresti degli ebrei da mandare in Germania, ci sono le spedizioni nei paesi nei dintorni di Trieste. Queste azioni permettono alla Banda Collotti di arricchirsi con il furto dei beni degli arrestati. A Longera la Banda Collotti porta via tutto il bestiame ai contadini per macellarlo poi a Trieste. Nell'archivio di Stato di Lubiana sono state trovare le pratiche del Pubblico Accusatore del tribunale di Aidussina con i capi di imputazione nei confronti di alcuni componenti dell'Ispettorato. Oltre alle accuse di violenza, tortura e omicidio troviamo anche quella di furto dei beni degli arrestati.
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Nell'estate del '44 il Movimento di Liberazione subisce dei colpi molto duri con numerosi arresti che portano molti uomini della resistenza in Risiera. A consegnarli ai nazisti sono molto spesso italiani alle dipendenze del III Reich. Questo dato non deve sorprendere perché non bisogna dimenticare che la Venezia Giulia e una parte del Friuli fanno parte dell'Adriatische Kustenland, che il podestà di Trieste è di nomina nazista e che la stessa Guardia Civica, distintasi in operazioni molto feroci di repressione, giura fedeltà al III Reich. L'Ispettorato ha una certa autonomia, ma di fatto opera alle dipendenze delle autorità tedesche.
Uno degli arresti più importanti e quello di Luigi Frausin, dirigente del PCI clandestino di Trieste. Un arresto importante frutto di una delazione che la propaganda nazionalista ha cercato di attribuire alla resistenza titina che avrebbe voluto liberarsi di un dirigente comunista contrario all'annessione di Trieste alla Jugoslavia. Un falso, uno dei tanti costruiti dalla disinformazione che ha operato in questo territorio. Se il Partito d'Azione e la diplomazia britannica pensavano ad una Trieste indipendente per evitare il passaggio del territorio triestino alla Jugoslavia, le frange più nazionaliste del CLN giuliano non solo non volevano la Jugoslavia, ma non volevano nemmeno essere indipendenti. In questa polemica all'interno del CLN giuliano Frausin non prese posizione ritenendo più logico rinviare la discussione a dopo la sconfitta del nazifascismo.

Alessandra Kersevan: l'arresto di Frausin e di moltissimi altri antifascisti segna l'inizio di un momento molto difficile per la Resistenza nella Venezia Giulia
Claudia Cernigoi:
le speranze di un imminente fine della guerra e di una risalita veloce dell'Italia da parte degli alleati vengono ben presto disattese dallo stop alle operazioni dovuto all'inizio della stagione invernale. I tedeschi si organizzano per l'ultima difesa e per la ritirata riprendendo possesso delle zone libere della nostra Regione. Dal dicembre '44 comincia una lunga serie di rastrellamenti e numerose sono le azioni di repressione gratuite e violente. I rastrellamenti cercano di colpire i nodi della rete di resistenti e una volta scardinata una maglia si procede alla distruzione di quella successiva. A questo scopo ci si serve della tortura e delle spie e grazie a questi strumenti si individuano depositi in cui sono raccolti materiale logistico, armi e dove spesso i partigiano sostavano durante i trasferimenti. In queste azioni muoiono molti partigiani e sono arrestate numerose decine di persone che vengono trasferite in Risiera. Le torture sono la norma e la banda Collotti procede agli interrogatori con l'uso pubblico della violenza nelle osterie dei paesi.
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Ho raccolto molte storie sui rastrellamenti a San Antonio in Bosco, Guardiella, Longera, ... con violenze efferate ai danni dei civili. Nel dopoguerra molte vittime preferiranno non testimoniare contro i loro carnefici per non ricordare quanto loro accaduto e per chiudere una pagina tragica del proprio passato. Alcuni testimoni in diverse occasioni hanno ricordato che non tutti i carcerieri erano violenti e che qualcuno aveva anche prestato soccorso ai prigionieri. Nei processi successivi alla guerra questi gesti saranno segnalati dalle vittime e permetteranno ad alcuni appartenenti all'Ispettorato Speciale di essere liberati. Questo per smentire la mitologia degli sloveni assetati di sangue italiano e sempre pronti a gettare nelle foibe chiunque avesse avuto a che fare con il fascismo.

Alessandra Kersevan: Gaetano Collotti sente l'avvicinarsi della sconfitta e comincia a preoccuparsi del proprio futuro...
Claudia Cernigo
i: Gaetano Collotti prende contatto con alcune missioni coordinate dai servizi segreti britannici e dai servizi del Regno del sud. Queste missioni al Nord avevano lo scopo di organizzare la resistenza e compiere attività di intelligence. Nella Venezia Giulia queste missioni lavorano anche in vista degli assetti politici del Dopoguerra e per contrastare le forze legate ai comunisti. Collotti vuole incontrare a Trieste il capitano Podestà che guida una di queste missioni e, a questo scopo, assolda un delatore che dichiara di essere pastore metodista. L'arresto di Podestà dura il tempo necessario per capire il suo ruolo di organizzatore antipartigiano.Collotti e Podestà concordano infatti sulla necessità nel fermare l'avanzata jugoslava verso Trieste. A Trieste scoppiano diverse insurrezioni e Podestà con la collaborazione di alcuni membri della Collotti organizzano una insurrezione che deve frenare l'arrivo dei partigiani e bloccare l'insurrezione operaia. Una situazione complicata e torbida.
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Collotti fugge negli ultimi giorni di aprile, quando è consapevole che la guerra sta finendo, con un gruppo di fedeli fugge portandosi dietro molte carte e molto bottino delle attività predatorie del suo gruppo.
Collotti viene fermato presso Treviso da una brigata partigiana e qui viene riconosciuto da un partigiano triestino.
Collotti viene arrestato, portato al centro presso l'ex cartiera di Carbonera e qui fucilato assieme ai suoi compagni.
Forse Collotti è stato attirato in una trappola, forse voleva andare a Verona per congiungersi ai tedeschi o forse gli anno promesso un salvacondotto indirizzandolo verso un gruppo moderato di partigiani.
Il fatto che avesse con se alcune carte che documentavano i rapporti con il CLN giuliano fa pensare ad una trappola per eliminare l'uomo e i documenti (alcuni dei quali non si trovano più, forse perduti negli archivi dei tribunali). Non ho nessuna prova, ma non è inverosimile.
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