-
 

ANPI
Cividale del Friuli

mostra sui deportati
politici dal Friuli

presentazione della mostra
28 gennaio 2017

-

-
Nota della redazione: la mostra "Deportati", realizzata dall’ANPI in collaborazione con Civici Musei di Udine, ANED e Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, è un cammino della memoria che rivive l’esperienza vissuta nei campi di concentramento nazista dagli oppositori al regime fascista. Un percorso per raccontare come dal Friuli, attraverso il carcere e indicibili torture e sofferenze, furono deportati verso i campi di concentramento più di 1.550 perone, molte delle quali non fecero più ritorno.
La presentazione della mostra a Cividale del Friuli è stata introdotta dall'intervento dello storico Gabriele Donato. Qui di seguito i passaggi più significativi del suo intervento.
 

Preparando questo intervento ho ritenuto doveroso fare con voi una riflessione più complessiva sul tema della deportazione. Vorrei partire da una citazione: "Sulle frontiere sono in corso rastrellamenti, deportazioni in mezzo alle notti, pestaggi infiniti, cadono dai treni, muoiono di gelo, assiderati nei boschi sui confini, costretti a camminare di notte in nuove marce forzate, uno è stato gettato in un lago ghiacciato. Sui vecchi vedo i morsi dei cani."

Una descrizione agghiacciante che potrebbe figurare bene come didascalia in una mostra come quella che proponete qui a Cividale sui deportati, ma che è tratta da un recentissimo reportage dalla Serbia di F. Ivanovic. Sono i migranti provenienti dall'Iraq, dall'Afghanistan, dalla Siria raccolti a Belgrado a centinaia e costretti a vivere nei locali di una ex stazione perché respinti da Ungheria e Croazia. Costretti a sopravvivere tra pestaggi, dissuasori elettrici, cani sguinzagliati e, sembra, colpi di arma da fuoco.

Il rapporto chiude con questa riflessione "Non ricorda nulla a nessuno? Non è questa una abbietta politica di eliminazione? Uomini come rifiuti, respinti, eliminabili."

Parlando del genocidio nei campi di concentramento, Primo Levi formulava questa domanda "Chi può essere sicuro di essere immune dall'infezione?".

Parlando delle politiche di accoglienza nei vari paesi d'Europa, potremmo riformulare la domanda in altra forma: "E' sicura l'Europa di essere oggi immune da quell'infezione?".

Migranti respinti da Crozia e Ungheria e costretti a sopravvivere in condizioni terribili fra la Serbia, Macedonia e Bulgaria. Morti in vita. Morti in vita anche i milioni che popolarono i campi di sterminio durante la II Guerra Mondiale.

Il sociologo Achille Mbembe ha utilizzato l'espressione uomini-rifiuti perché indesiderati, perché da respingere. Eccoli i deportati che muoiono sotto i nostri occhi. Fra qualche decennio farà i conti sui livelli di mortalità sulle marce della morte che hanno attraversato i Balcani in questi mesi e qualcuno si chiederà: "Potevano - riferendosi a noi - non accorgersene?"

I tempi sono diversi e analogie fra deportazione e respingimento vanno fatte con molta cautela perché questi due fenomeni drammatici sono diversi e le motivazioni non sono sovrapponibili.

[...]

La deportazione che ha preso forma fra il 1943-45 ci si proponeva di distruggere la presenza ebraica e di altri gruppi etnici importanti dall'Europa; contrastare il movimento partigiano e punire ferocemente infrazioni di vario genere. Anche fra i deportati friulani non tutti erano attivisti politici o sindacali; con la deportazione venivano punite anche altri tipi di infrazione.

Uno storico italiano che ha lavorato molto su queste vicende storiche, Marco Cosulich, ha parlato di logica di deportazione operativa nel Litorale adriatico a prescindere dall'azione di invagonamento. Si riferiva la funzionamento in questa parte della Penisola dei campi concentramento di Rab, Sdraussina, Gonars, Visco.

Era in corso una sorta di guerra di sterminio contro quella parte della popolazione civile locale sospettata anche solo vagamente di appoggiare la Resistenza, una guerra avviata prima che i vagoni piombati cominciassero a partire per Dachau, Auschwitz, ...

Nel mirino di questa guerra, in quest'angolo di Italia, c'erano le popolazioni slave già perseguitate nel primo dopoguerra dal Fascismo perseguitati prima internati poi, sterminati. La logica funzionava secondo una logica che può essere descritta usando le parole di un sociologo camerunense Achille Mbembe: "Creare dei mondi di morte, forme nuove uniche di esistenza sociale in cui popolazioni intere sono assoggettate a condizioni di vita che equivalgono a collocarle in condizione di morti in vita".

Studi recenti stimano in 40-45 mila i deportati italiani durante la II guerra Mondiale e fra questi la mortalità si avvicinò al 60%. Circa 8 mila persone partirono dal litorale Adriatico (circa il 20% dei deportati italiani) e fra questi 1.600 da Udine. Il contributo del Cividalese è stato importante: 23 da Cividale, 41 da Corno di Rosazzo, 20 da Faedis, 15 da San Pietro al Natisone. Erano partigiani, antifascisti, scioperanti, ma c'erano anche renitenti alla leva a dimostrazione dell'ampiezza dei meccanismi del terrore in atto non solo dalla barbarie germanica.

Lo storico Enzo Collotti ha parlato di un immagine di un Italia "senza assassini e delatori" dura a morire. Il terreno della persecuzione degli ebrei si prestato come pochi al gioco di autoassoluzione e rimozione che ha caratterizzato la cultura e la storiografia italiana nei decenni successivi alla Liberazione. Un'immagine falsa: basti sapere che nelle 6 province del Litorale le SS poterono avvalersi della collaborazione di circa 2.000 ausiliari di polizia autoctoni solerti nel pianificare realizzare arresti e rastrellamenti.

La macchina organizzativa della repressione e deportazione funzionava efficacemente grazie a una vastissima rete di complicità che diffusa a tutti i livelli. Queste complicità resero possibile la gigantesca caccia agli "schiavi per la guerra di Hitler" che prese forma in quegli anni. Una vera strategia di sfruttamento economico dei deportati; i prigionieri lavoravano in fabbrica e campagna, riparavano strade e ferrovie, rimossero macerie, disinnescarono bombe, disboscarono foreste, dal 1942 fabbricarono armi, fecero la fortuna di coloro, i cosiddetti mercanti di schiavi, che fornivano mano d'opera per grandi colossi del capitalismo tedesco, la Siemens, la Krupp, l'AEG, ...

A funzionare fu il principio dell'annientamento attraverso il lavoro facendo del lavoro coatto una risorsa a favore del Reich. Non potevano bastare le menti demoniache di poche persone disumane disumane. Le bestie scatenate avevano al loro fianco migliaia di collaboratori zelanti.

[...]
-