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Cividale del Friuli

la Jugoslavia e la questione
di Trieste, 1945-1954

Cividale del Friuli - 7 luglio 2021

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Nota della redazione: proponiamo qui di seguito i passaggi più significativi dell'intervento dello storico Federico Tenca Montini, autore del libro "La Jugoslavia e la questione di Trieste, 1945 - 1954" - ed. Il Mulino.

Il libro "La Jugoslavia e la questione di Trieste, 1945-1954" è la tesi di dottorato che ho svolto fra Teramo e Zagabria utilizzando dei fondi destinati alla ricostruzione storica della questione di Trieste basata su fonti jugoslave. I fondi, già disponibili, non erano stati utilizzati né da studiosi italiani (per problemi linguistici) né da studiosi della ex Jugoslavia forse perché dagli anni '90 in poi, con le guerre di indipendenza, gli interessi sono stati diversi. Il libro è stato edito in Croato e la prossima primavera sarà pubblicato in sloveno sotto l’egida della Accademia delle Scienze Lubiana.
La “Questione di Trieste” è un complesso di vicende diplomatiche iniziate con la liberazione di Trieste, il 1 maggio 1945, da parte delle truppe partigiane jugoslave.
È una questione che rimane irrisolta per molti anni, mentre molte altre questioni sul suolo europeo vengono risolte in tempi più brevi. La definizione dei confini dei paesi più a nord viene risolta rapidamente, la questione austriaca, dove non ci sono problemi nella definizione dei confini, richiede un po’ più di tempo, ma la questione di Trieste, nel clima di guerra fredda, è risolta nel 1954, quando si chiarisce che Trieste sarebbe appartenuta all’Italia
All’interno di questo periodo succedono molte cose: l’espulsione nel 1948 della Jugoslavia dal Cominform, la creazione di un modus vivendi fra Jugoslavia e i paesi del blocco occidentale, la morte di Stalin, ...
E’ un luogo comune ritenere che fosse scontato che Trieste, dopo la fine della II Guerra mondiale, tornasse all’Italia e che la “Questione di Trieste” fosse un modo per dare attuazione a questa soluzione; nel 1952-53 i vertici di Belgrado hanno tentato di dare corpo a una soluzione alternativa.
(...)
Il contingente jugoslavo che entra a Trieste il 1 maggio 1945, viene allestito a Zara nei primi mesi del ‘45 con l’idea di puntare direttamente sulla città giuliana non riservando particolare protezione ai propri fianchi. Una scelta che, se da una parte renderà più veloce lo spostamento, costerà circa 5 mila morti e altrettanti fra dispersi e feriti. In questa fase il movimento partigiano jugoslavo è in grado di coscrivere non è quindi più prettamente formato da volontari. Le truppe partigiane raggiungono l’Istria a fine aprile e una parte di queste viene lasciata a Fiume, dove c’è un numeroso acquartieramento tedesco, a fare da muro per permettere al resto delle truppe di spostarsi verso Trieste.
Il primo maggio 1945 (*) le truppe jugoslave arrivano a Trieste con il supporto del IX corpus (**) dopo aver superato delle notevoli difficoltà a Opicina, dove c’è una ultima resistenza dei tedeschi, e dopo aver percorso la strada che raggiunge Trieste passando vicino all’università.
Questo sfondamento in territorio italiano determina una grande preoccupazione nelle diplomazie occidentali. A Tito, che aveva un rapporto molto positivo con gli alleati, era stato chiarito che si sarebbe rivista la frontiera con l’Italia, ma senza essere precisi in merito, anche perché gli angloamericani avevano un approccio alla questione piuttosto favorevole all’Italia.
Gli inglesi temevano inoltre che l’azione jugoslava potesse creare un precedente per i sovietici che stavano avanzando nell’Europa centrale (la guerra sarebbe finita il 9 maggio 1945).
Si mandano delle missioni militari a Belgrado per fermare Tito, ma Tito non ne vuole sapere. Le missioni rientrano con un nulla di fatto fino a che arriva a Belgrado il generale William Morgan (ufficiale del generale Harold Alexander).
Intanto si fanno insistenti le voci lungo la riviera adriatica di una possibile evacuazione dovuta a una imminente guerra fra Italia e Jugoslavia. Le truppe alleate cominciano a procedere sovrapponendosi a quelle jugoslave nella stessa zona di occupazione jugoslava e, superata Gorizia, si spostano in direzione di Lubiana.
Tito a questo punto cede (primi giorni di giugno ‘45) e si apre la strada alla linea Morgan.
In origine la linea Morgan divide il territorio ex italiano, in sospeso fra Italia e Jugoslavia, in due zone: la Zona A e la Zona B della Venezia Giulia, la prima a occidente della linea Morgan, sotto occupazione angloamericana, la seconda a oriente, sotto occupazione jugoslava.
Questo situazione viene definita negli accordi firmati nel castello di Duino nell’estate ’45, ma gli gli jugoslavi non riescono a ottenere nulla di sostanziale in termini territoriali.
Comincia uno sconto diplomatico fra angloamericani e sovietici sul futuro del territorio e non si produce una proposta soddisfacente per le parti: gli angloamericani sostanzialmente non vogliono dare spazio alla Jugoslavia che esce dalla seconda guerra mondiale già comunista (a differenza di Romania, Bulgaria e Cecoslovacchia) e c’è anche il desiderio di non punire troppo l'Italia perché un paese che subisce una forte mutilazione territoriale può diventare un paese politicamente instabile.
Al tavolo delle trattative nel ‘46, prende corpo la proposta di costituire il il Territorio Libero di Trieste (TLT). Prima però si organizza in gran parte di questo territorio il sopralluogo di una speciale commissione Inter alleata (inglesi americani, francesi e russi) che visita l'intera zona per definire la linea di confine. La commissione visita le Valli del Natisone, la Valle del Torre, Lusevera, Monfalcone, Trieste e buona parte del litorale.
Nel corso di questi sopralluoghi, gli jugoslavi tendevano a ridimensionare la presenza italiana in Istria e a esporre principalmente i danni della guerra, le morti, i monumenti ai caduti, …
Da parte italiana si tendeva a negare la presenza della popolazione slovena, non a Trieste e Gorizia dove la cosa era impossibile, ma nella parte orientale della provincia di Udine.
Alcuni funzionari sovietici e uno francese che conosceva il russo, parlando con gli anziani rilevano dei legami linguistici molto elementari che danno l'idea di affinità linguistica.
Successivamente si producono le proposte per il confine italo-jugoslavo: gli angloamericani propongono che all’Italia resti gran parte dell’Istria, i sovietici propongono per la Jugoslavia anche parte del Friuli, I francesi fanno una proposta intermedia. Il tutto si gioca in un mosaico internazionale in cui i sovietici sono disponibili a sostenere le rivendicazioni francesi sulla Germania, ma chiedono alla Francia di sostenere le posizioni jugoslave.
Queste proposte non si concretizzano per l’irriducibilità delle posizioni italiane e jugoslave su Trieste e questo fa si che si rispolveri l’idea di risolvere la questione con la creazione di uno stato indipendente. Gli stati indipendenti sono state le soluzioni adottate per alcune aree mistilingui dopo la I guerra mondiale (Danzica è il precedente più famoso). Pur se questa soluzione si era rivelata molto fragile, si pensava di riproporla in un contesto di complessità etnico-linguistica quale quello presente nella Venezia Giulia.
L’idea per il TLT prevede la nomina di un governatore (una specie di presidente repubblica) su mandato dell’ONU e di una assemblea eletta dalla popolazione locale, il tutto protetto militarmente dalle ONU. Questa proposta viene adottata nell’estate del ‘46 e viene consolidata con il trattato di pace del 10 febbraio ‘47.
Di fatto gli americani boicottano la nomina del governatore sulla base della considerazione che, non entrando in vigore il suo mandato, potessero mantenere la presenza di un contingente militare in una fase in cui la politica estera jugoslava era molto aggressiva.
La situazione rimane congelata per un certo periodo e nel 1948 succedono alcuni eventi importanti: il colpo di stato in Cecoslovacchia evidenzia che tutta l’Europa centrale sta diventando comunista, ci sono le prime elezioni italiani che avrebbero dato al paese un governo o democristiano o comunista.
Gli angloamericani, per aiutare l’Italia, annunciano 20 marzo del 1948 (un mese prima delle elezioni del 18 aprile) un documento noto come “nota tripartita” in cui si prevede la restituzione all’Italia di tutto il territorio compreso nelle zone A e B.
Un altro avvenimento significativo è il peggioramento delle relazioni fra URSS e Jugoslavia a causa di crescenti divergenze e incomprensioni fra Tito e Stalin che porta fra l’altro al richiamo in URSS di tecnici e civili sovietici presenti a Belgrado.
Il 28 giugno ‘48 a Bucarest il Cominform (una riedizione al passo con i tempi del Comintern, organo di collegamento fra i comunisti dei vari paesi) approva una risoluzione che stabilisce che la Jugoslavia non è un paese comunista, ma un paese nelle mani di una cricca di terroristi trotzkisti, menscevichi e fascisti. Questo non comporta l’eliminazione del regime di Belgrado, ma all’esclusione da tutti I flussi economici che regolavano il funzionamento delle economie pianificate.
Gli angloamericani, che sono molto sorpresi da questo cambiamento nei rapporti fra URSS e Jugoslavia di cui poco avevano capito, decidono di fermare tutto perché la Jugoslavia era un paese traballante, con problemi economici, di approvvigionamento alimentare e con confini non definiti con l'Italia, con problemi con l’Austria in merito alla popolazione slovena nei dintorni di Klagenfurt e problemi con la Grecia.
Si decide di non indebolire la tenuta del regime con il problema del confine con l’Italia.
Si danno migliaia di tonnellate di grano alla Jugoslavia e si creano anche dei rapporti di collaborazione militari, perché non è credibile che la Jugoslavia non rappresenti più niente senza l’appoggio sovietico.
La Jugoslavia, secondo i pianificatori del Pentagono, doveva difendersi da una possibile invasione sovietica che poteva partire dall’Ungheria in direzione di Zagabria o, sempre dall’Ungheria, in direzione di Lubiana con la possibilità di un successivo ingresso in Italia da est verso la pianura padana.
(...)
L’esercito jugoslavo viene ammodernato fornendo nuove armi, anche pesanti, e si arriva a una forma di pianificazione congiunta, anche se non si pensa a un ingresso della Jugoslavia direttamente nella Nato.
Mentre ci sono i primi miglioramenti nei rapporti fra Jugoslavia, USA e Gran Bretagna (il ruolo della Francia dopo la II Guerra Mondiale diventa secondario nello scacchiere internazionale) si ricomincia ad affrontare la Questione di Trieste in maniera diversa: USA e Gran Bretagna incoraggiano i diplomatici italiani e jugoslavi a incontrarsi avviando una forma di distensione, almeno psicologica, che potesse agevolare la soluzione del problema. Questi primi approcci avvengono principalmente nel 1950, ma non hanno seguito.
A cavallo del ‘51-’52 si svolgono a Parigi degli incontri fra un ambasciatore italiano di alto rango, Gastone Guidotti e Aleš Bebler che faceva funzione di vice ministro degli esteri del governo jugoslavo. Questi incontri si susseguono lungo un periodo di alcuni mesi, ma non portano a una soluzione.
In questa fase prende corpo nella diplomazia jugoslava l’idea di attivare il TLT. L’idea era quella di approdare a una sorta di co-amministrazione italojugoslava con l’alternanza di governatori italiani e jugoslavi. Gli jugoslavi pensavano che, se fosse riuscita questa operazione, avrebbero avuto un margine di “ingerenza” politica anche su Trieste.
In un regime politico così concentrato in un pugno di uomini al vertice, non si esclude che, in un paese giovane come la Jugoslavia, venissero prese in considerazione anche delle teorie visionarie.
(...)
L’idea di questo “condomino” circola nella leadership jugoslava attorno al ‘52 e nell’estate del ‘53 viene allestito un progetto molto articolato che prevede la visita di Bebler a Trieste e una serie di interventi nelle sedi diplomatiche occidentali per convincere della bontà di questa co-amministrazione.
Intanto nel ‘52 accadono alcuni avvenimenti rilevanti:
nell’autunno c’è un cambio al vertice alla presidenza degli USA con la nomina di Eisenhower che succede a Truman.
Belgrado non valuta in maniera opportuna la novità ideologica di questa elezione: se per Truman avere un alleato comunista non era un problema purché i frutti di questa alleanza fossero consistenti, per Eisenhower non è così. L’ambasciata di Belgrado per molti mesi rimane sede vacante perché non viene nominato il nuovo ambasciatore, mentre a Roma viene nominata la prima diplomatica donna ad aver un ruolo così importante, Clare Boothe Luce il cui forte anticomunismo è noto.
L’ambasciatrice Luce ha una forte simpatia per l’Italia e un forte ascendente a Washington che le permette di esercitare una importante influenza.
Nel novembre del ‘52 si svolge a Zagabria il VI Congresso del partito comunista che, al termine dei lavori, apre una serie di spazi di autonomia per la società jugoslava e ridimensiona il ruolo del partito comunista in seno alla società. Cominciano inoltre sul piano economico delle sperimentazioni che sarabbero poi sfociate nell’autogestione.
Agli inizi di marzo del ‘53 muore Stalin e a Belgrado la notizia viene accolta verosimilmente con un certo entusiasmo pensando che questo avvenimento avrebbe aperto nuovi spazi di manovra alla politica estera jugoslava.
In realtà avviene il contagio, perché la pressione sovietica su Belgrado diminuisce e l’Occidente comincia a rivedere la posizione piuttosto benevola che fino a quel momento aveva avuto sulla Jugoslavia. A ottobre del ‘53 arriva la dichiarazione USA di cessione della zona della zona A all’Italia senza garanzie per la Jugoslavia in merito alla zona B.
La reazione jugoslava e molto negativa e a Belgrado si hanno manifestazioni di massa molto dure verso le rappresentanze occidentali e in altre città si hanno dei gravi incidenti.
Nei mesi successivi ci si riunisce attorno al tavolo per salvare il salvabile, ma Tito capisce, dopo che la morte di Stalin aveva illuso la dirigenza jugoslava, quali sono i limiti della politica estera jugoslava e di prestigio internazionale.
Pur avendo un ruolo di cerniera fra due blocchi, il paese era quello che era sia dal punto di vista economico che per consistenza demografica (nel ‘53 la popolazione jugoslava arrivava a circa 17 milioni di abitanti).
Si abbandonano le posizioni filo occidentali e ci si assesta su posizioni di neutralismo che porteranno nel tempo la Jugoslavia ad aver un ruolo importante all’interno dei paesi non allineati e un ruolo di prestigio in aree come l’Africa e l’Asia.
Si capisce che Trieste sarà assegnata all’Italia e viene allestito un meccanismo diplomatico complesso che porta alla fine all’assegnazione della zona A all'Italia e della zona B alla Jugoslavia con una piccola correzione territoriale a favore di quest’ultima poco a sud di Muggia. Una serie di aiuti economici vengono assegnati alla Jugoslavia per la costruzione di un porto che sostituisse quello di Trieste assegnato all’Italia.
Inizialmente si pensa di costruire un porto ad Ancarano, vicino Muggia, dove la profondità del mare è favorevole all’approdo delle navi, poi si decide di ingrandire il porto di Capodistria.
Nel ‘54 si arriva al Memorandum di Londra (il memorandum non ha carattere di trattato internazionale) che determina ''de facto'' la consegna della zona A all’Italia e il mancato appoggio a rivendicazioni “su territori posti sotto amministrazione o sovranità dell'altro paese”.
Solo con gli accordi di Osimo del settembre ‘75 si sarebbe arrivati a una soluzione ''de jure'' del problema del confine orientale con piccoli aggiustamenti locali e con un progetto di sviluppo economico che poi non avrà luogo.
Con la disgregazione della Jugoslavia e il riconoscimento italiano della Slovenia e della Croazia, il trattato di Osimo è stato ereditato dai paesi succeduti alla Repubblica Federativa di Jugoslavia.

(*) Se la liberazione di Trieste debba essere considerata avvenuta con l’ingresso dei partigiani jugoslavi il primo maggio o con il momento in cui le ultime truppe tedesche si consegnano alle forze anglo americane è questione oziosa su cui si può soprassedere

(**) - Nel corso della II Guerra Mondiale, in Slovenia erano presenti il VII Corpus e il IX Corpus. Il primo operava nell’interno, il secondo sulla parte occidentale della Slovenia.
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