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ANPI
Cividale del Friuli

la Resistenza
nel Friuli orientale
e Anselmo Calderini “Ivan”
----------------------i Calderini, una famiglia antifascista ---------come raggiungere Pegliano 

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E’ passato da poco il 6 ottobre 2023 e sono trascorsi 80 anni dalla tragica morte in combattimento, qui nei pressi di Pegliano, del primo caduto Partigiano della Resistenza cividalese: Anselmo Calderini “Ivan”.
Prima di ricordare la sua figura, lo farà dopo di me Claudio Calderini, vorrei brevemente richiamare la vostra attenzione sulla particolarità della Lotta di Liberazione nelle nostre zone, al confine orientale d’Italia, che all’epoca, in virtù del Trattato di Rapallo del 1920, si estendeva nei territori all’interno delle attuali Repubbliche di Slovenia e di Croazia con ciò comprendendo una popolazione di circa 500.000 cittadini italiani di lingua slovena e serbo-croata nonché qualche migliaio di cittadini di lingua tedesca nelle zone della Val Canale e del Tarvisiano.
Queste “minoranze” nazionali, non lo erano affatto nei territori da loro abitati, subirono una violenta opera di snazionalizzazione, nel caso delle Valli del Natisone, iniziata già nel momento dell’annessione al Regno d’Italia nel 1866.
Violenza che fu etnica, anzi razziale se riprendiamo le parole pronunciate a Pola il 21 settembre 1920 da Mussolini: “Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone.“.
E’ proprio per queste ragioni, per questo concetto di razza espresso dal fascismo, che v’è il richiamo nella nostra Costituzione, all’art. 3, a questa parola che non è da intendersi, come recentemente ha fatto la Presidente del Consiglio Meloni, esponente politica organica a quel partito fascista che aveva tra i redattori della rivista “Difesa della razza” Giorgio Almirante, il fondatore del partito dal quale deriva Fratelli d’Italia, non è da intendersi, dicevo, quale riconoscimento dell’esistenza di razze nel genere umano ma è invece lì inserita, in Costituzione, per rimarcare che questo è accaduto in Italia, è accaduto ad opera della politica fascista!
In altri termini quella parola è inserita nella Carta Costituzionale, per dirla con Primo Levi, perché ci si ricordi che questo è stato.
Con le guerre d’aggressione contro altri Paesi, che pare essere una caratteristica degli interventi militari del Regno d’Italia post unitario come storicamente dimostrato dalla guerra contro la Turchia, precedente alla prima guerra mondiale, alla prima guerra mondiale stessa con l’attacco all’Austria-Ungheria, con le aggressioni del primo dopoguerra all’Etiopia e all’Albania e poi nella seconda guerra mondiale alla Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica, il Regno d’Italia si macchia di crimini contro l’Umanità dei quali, a tanti anni di distanza, la nostra Repubblica, nata dalla Resistenza, non riesce storicamente a farsi carico.  
E’ significativo citare Eric Gobetti in un articolo pubblicato il 10 settembre 2023 all’indomani della clamorosa assenza delle Istituzioni italiane all’80° della Liberazione del campo d’internamento fascista italiano sull’Isola croata di Rab:
“Continuare a ignorare, a nascondere, a negare i crimini fascisti significa considerarsi ancora colpevoli; significa di fatto condividerne la logica, i principi, le motivazioni, l’ideologia. E vuol dire anche voler continuare a ragionare e operare con la stessa prospettiva, mettendo l’Italia e gli interessi dei suoi uomini più potenti al di sopra di ogni cosa, addirittura della vita di chi è straniero, diverso, debole, come mostrano le ripetute stragi di migranti nei nostri mari. Salvare un naufrago in mare non è un segno di civiltà italiana ma di umanità. Deportare, internare e lasciare morire di fame intere popolazioni, come fatto dal regime fascista in Libia, Etiopia e Jugoslavia non può essere giustificato dagli interessi supremi della patria. Si tratta di un crimine contro l’umanità e va condannato sempre.“.
In quelle tragiche campagne di aggressione militare, scatenate dal fascismo contro altri Paesi, i militari di leva inviati a combattere con mezzi inadeguati sui vari fronti furono esecutori e testimoni delle violenze e dei crimini contro l’Umanità compiuti dal Regno d’Italia e dal Fascismo: si formano però una coscienza antifascista che fino ad allora era stata appannaggio di pochi, si scoprono vittime del Regime. Gran parte dei militari, la grandissima parte, al momento della resa dei conti sceglie di non collaborare col fascismo passando con le forze della Resistenza o preferisce la dura prigionia dei campi d’internamento del Terzo Reich.
Nel 1941, il 6 aprile, con l’aggressione al Regno di Jugoslavia, i Savoia e il Fascismo legittimano e incentivano la lotta armata in tutto il territorio del Regno d’Italia etnicamente abitato da sloveni e croati. Il Trattato internazionale che sanciva e quindi legalizzava sul piano internazionale i “confini di Rapallo” diventa, nei fatti, carta straccia, rinfocolando le, peraltro legittime, aspirazioni indipendentiste dei popoli slavi.
Questi eventi però forniscono anche l’occasione di rinsaldare quell’unità d’intenti che univa su basi internazionaliste i comunisti dei vari gruppi etnici.
Unità che già nel 1921 portò all’elezione di ben quattro deputati sloveni, Podgornik, Wilfan, Šcek e Laurencic e uno comunista Giuseppe Tuntar al Parlamento Italiano. Nell’ultima elezione multipartitica nel 1924 nonostante il ridisegno del Collegio elettorale di Gorizia, finalizzato a ridimensionare la presenza delle minoranze, vengono comunque eletti tre sloveni Besednjak e Wilfan di cui uno, Jože Srebrnic comunista.  Negli anni della dittatura dalle pagine della rivista clandestina “Stato Operaio“ del Partito Comunista d'Italia si riafferma la questione delle minoranze oppresse sulla base dell'autodeterminazione e dell'internazionalismo e si rinsaldano i rapporti politici e di azione nel comune destino che vede i militanti e dirigenti socialisti e comunisti in carcere o al confino.
Non solo, dalle parole si passa ai fatti: le sporadiche azioni terroristiche degli sloveni del Litorale si trasformano, grazie all'egemonia acquisita dai comunisti all'interno del Movimento di Liberazione Nazionale, in una capillare organizzazione capace non solo militarmente ma anche in grado di coalizzarsi e quindi di intrattenere rapporti ed alleanze.
Nel mese di agosto del 1942 si forma il 1° Battaglione sloveno “Simon Gregorcic“ e in ottobre il “Soški Odred“.
Nel novembre del 1942 Edvard Kardelj, stretto collaboratore di Tito, da le seguenti direttive:
“Bisogna... decisamente superare gli stretti confini nazionali della nostra attività di massa e coinvolgere anche le masse italiane, specie il proletariato delle città. Date la possibilità ai lavoratori italiani di collaborare nella lotta antifascista, che nella attività pratica siano legati all'OF, mentre dal punto di vista organizzativo siano autonomi...“
e poco dopo, nel gennaio del 1943 a nome del CC del PCS, impartisce istruzione ai quadri del Partito di:
“Mobilitare il maggior numero di compagni italiani per l’esercito partigiano. Fate in modo che sia subito possibile organizzare delle unità autonome italiane, cominciando dal plotone in su. Fino a nuovo ordine queste unità rimangono alle dipendenze dirette del nostro comando partigiano. Ma bisogna fare ogni sforzo ” aggiungeva subito dopo “perché si formi al più presto possibile un comando separato delle unità partigiane italiane, che si presenti ufficialmente come tale e che avrà una forte influenza politica sulle masse popolari italiane.”
Nei fatti, già dalla fine del 1942, si tengono regolari collegamenti tra i rappresentati del PC d'I di Cividale Mario Lizzero e Ernesto De Monte e il Comando dei Partigiani sloveni che aveva sede a Sužid nei pressi di Caporetto nella persona di Mirko Bracic.
Per queste ragioni, la nostra Regione, ha il primato della nascita della Resistenza armata: qui la lotta antifascista è nata prima ed è finita dopo rispetto al resto d’Italia.
Alla fine di febbraio 1943 si ha documentazione dell'arrivo di volontari friulani presso il 3° battaglione sloveno (Briški). Il 1 marzo il Comando della zona operativa del Litorale scrive infatti a questo battaglione in questi termini:
“Vi avvisiamo che questo è di straordinaria importanza politica internazionale. Questa fuga dei Friulani ai partigiani significa che comincia ad organizzarsi l’Esercito Partigiano d’uno dei più grandi Stati fascisti, l’Italia. Ma è d’una importanza ancora più grande il fatto che questi nuclei partigiani sono composti da italiani.“
Si rimarca quindi, da parte slovena, la straordinaria importanza della nascita di una Resistenza al Regime, armata, autonoma e composta d’ italiani.
Nel marzo del 1943 infatti si costituisce il primo nucleo partigiano italiano armato, il “Distaccamento Garibaldi“, al quale aderiranno dapprima una dozzina di Partigiani e a cui partecipò anche il cividalese Edoardo Tosoratto (Oddo) Medaglia d'Argento al V. M. per la Resistenza.
Questa formazione, della quale alcuni componenti provenivano dal battaglione del Collio alle dipendenze della Brigata “Ivan Gradnik“,   fu, con larga autonomia, alle dipendenze operative della Brigata “Simon Gregorcic“.
Da questo primo nucleo si costituirà, nella seconda metà di settembre del 1943, la 1a Brigata “Garibaldi” con comandante Mario Modotti “Tribuno”.
Questa formazione, nei mesi successivi e per successivi apporti arrivò a costituire un’intera Divisione partigiana: la Divisione d’Assalto “Garibaldi-Natisone”, che smobilitò poi a Udine il 20 maggio del 1945.
Nei mesi successivi all’8 settembre si cominciano anche a costituire formazioni partigiane di diverso orientamento.
Ma torniamo un momento all’ottobre 1943, all’epoca si erano già verificati scontri con le truppe naziste incaricate di occupare la nostra Regione. Scontri anche molto cruenti come furono quelli della “Battaglia partigiana di Gorizia” svoltasi dal 12 al 30 settembre 1943, e che vedeva contrapposte le truppe tedesche ai militari della Divisione “Torino“, ai Partigiani della “Brigata Proletaria“ costituita in gran parte dagli operai dei Cantieri navali di Monfalcone e ai Partigiani di varie formazioni slovene.
La “Battaglia di Gorizia” costò la vita a 54 civili, 147 Partigiani  (89 della “Proletaria” e 58 sloveni) e a 4 militari.
In quest’area nostra area esisteva invece, dal 10 settembre e fino a novembre 1943, per ben 52 giorni, la “Kobariška Republika“ un’ampia zona libera sotto il controllo partigiano di circa 1400 chilometri quadrati che si estendeva dalla stretta di Žaga a Podbrdo e dal Collio alle Valli del Torre comprendendo le Valli del Natisone fino a lambire il territorio di Cividale. Di fatto quest’area, controllata dagli sloveni, costituisce la prima Repubblica partigiana in territorio allora appartenente al Regno d’Italia. Ieri se né ricordato l’ottantesimo anniversario a Caporetto.
In uno di questi combattimenti che si svolgono ai margini della zona libera cade, colpito a morte contro una pattuglia tedesca, il Comandante del Battaglione “Friuli“, il cividalese Anselmo Calderini “Ivan”. La sua appartenenza a questa formazione, che faceva parte della 1° Brigata “Garibaldi”, oltre a farne il primo martire cividalese, comporta anche che egli risulterebbe essere il primo caduto “garibaldino“ d’Italia.
La famiglia Calderini ha pagato un carissimo prezzo alla Liberazione del nostro Paese. Ad Anselmo Calderini vogliamo dedicare la sezione ANPI di Cividale del Friuli che da oggi quindi avrà la denominazione di Sezione Anselmo Calderini “Ivan”, lo riteniamo un atto dovuto, un segnale, un’indicazione anche per la nostra comunità cividalese, per i nostri giovani a tributo e ricordo di “Ivan”.
I lunghi mesi di lotta che dovevano ancora trascorrere dall’ottobre del 1943 alla fine della guerra, con tutto il carico di sofferenza riversata sulle popolazioni e sulle formazioni partigiane, con razzie,  deportazioni, incendi di paesi, eccidi, fucilazioni e impiccagioni sulla pubblica piazza devono restare di monito alla Libertà conquistata e devono renderci consapevoli che la Libertà va coltivata ogni giorno non essendo un valore acquisito una volta per sempre.
Assistiamo inoltre a guerre che s’ispirano a nazionalismi, edulcoriamo questa parola parlando di “sovranismo“, ma è la stessa identica cosa, ha la stessa matrice fascista che si erge ad essere superiore, non rispetta gli altri popoli, le altre culture e che in definitiva appunto porta alla guerra.
Gli attacchi reiterati, alla nostra Costituzione, già largamente inapplicata nei suoi fondamenti, provenienti da varie parti politiche e volti a stravolgerne l’impianto, non possono lasciarci indifferenti in un’epoca di guerre, di diseguaglianze economiche e sociali, di sconvolgimenti ecologici e nazionalismi imperanti.
 
Viva la Resistenza, viva la Costituzione

Flormi-Pegliano, 8 ottobre 2023

Luciano Marcolini Provenza

 



un ricordo della famiglia Calderini

Siamo qui a ricordare, io e mio cugino Andrea suo nipote diretto, la figura di Anselmo Calderini nato a Cividale del Friuli il 26 ottobre 1911 primogenito, con i fratelli Aldo, Fabio e Bruno di Giuseppe e Antonia.
Con la tragedia della ritirata di Caporetto e all’avanzare dei soldati tedeschi, Antonia da sola con i figli, abbandona la sua casa, mentre il marito Giuseppe è soldato al fronte.
Nel dopo guerra l’emergenza abitativa è molto pesante, la famiglia ottiene dal Comune di Cividale del Friuli un alloggio all’interno dei baraccamenti ceduti dal Ministero delle Terre Liberate in località Rubignacco, come riparazione dei danni provocati dalla guerra.
In queste baracche ex militari trovarono alloggio 39 famiglie con un presenza di 200 persone. Il
sostentamento economico delle famiglie era precario a quei tempi, il capofamiglia Giuseppe da contadino passò a colono fino ad essere assunto come operaio presso lo stabilimento Estratti Tannici “il tannino” di Cividale del Friuli.
Nel 1930, in pieno fascismo, durante il turno notturno, la fabbrica veniva circondata dalla polizia per
eseguire perquisizioni. Gli agenti fermarono anche il Calderini che aveva nascosto una copia dell’Unità assieme alle tessere della CGdL e in seguito, presso la sua abitazione, trovarono la tessera di militanza del PSU. Venne denunciato dal “Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato“ e dopo qualche mese di prigione fu condannato a 5 anni di sorveglianza speciale.
Fu licenziato dalla fabbrica con l’obbligo, quale sovversivo, di essere a casa al tramonto e di non assentarsi dal paese. Questa sua formazione politica antifascista trasmise ai figli, questi valori di libertà e di società giusta.

Aldo Calderini
Nel 1933 viene arrestato con l’accusa di appartenere al PCdI. Incarcerato prima a Udine e poi a Perugia a disposizione del “Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato“. Scagionato per insufficienza di prove viene liberato nel 1934.

Fabio Calderini
Partecipa alla guerra di Liberazione con la formazione Garibaldi con il nome di battaglia di “Andrea“.

Bruno Calderini
Dopo l’8 settembre 1943 viene catturato prigioniero dalle truppe tedesche mentre si trova ricoverato
presso l’ospedale militare della città di Tebe in Grecia ed internato in Germania in lavoro coatto. Viene rimpatriato dalla prigionia nell’agosto del 1945.

Anselmo Calderini
Dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla guerra di Liberazione con la formazione Garibaldi, con il nome di battaglia di “Ivan“. Il 6 ottobre del 1943 muore in località Pegliano in uno scontro a fuoco con formazioni nazifasciste. Il suo corpo, recuperato dai suoi compagni di lotta, viene provvisoriamente sepolto vicino al muretto della vecchia Chiesa di S. Nicolò.
Dopo la Liberazione il fratello Aldo, assieme ad altri compagni, recuperarono la salma per onorarlo e dargli sepoltura.
Anselmo nel 1943 era sposato con Ester Ines Pinosio e dalla loro unione erano nati Luciano e Elda.
Ines Pinosio aderisce alla lotta partigiana in qualità di staffetta con il nome di battaglia di “Mara” a seguito di una delazione viene arrestata dai tedeschi ed internata nel 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, viene rimpatriata nel giugno del 1945.
Nel 1949 Ines, risposatasi, ebbe un figlio a cui misero il nome di Ivano in quanto non venne accettato il nome di “Ivan”.

Flormi-Pegliano, 8 ottobre 2023

Claudio Calderini

 



dove si trova Pegliano e come arrivare nella zona dove
cadde in combattimento e fu sepolto Anselmo Calderini

Pegliano è una località del Comune di Pulfero costituita da 7 borgate poste in alto sul lato della Valle del Natisone. Per raggiungerla agevolmente bisogna percorrere la strada statale che da Cividale del Friuli porta verso il valico di Stupizza, poco dopo la località di Tiglio si abbandona la strada statale girando a sinistra per attraversare il fiume Natisone. Seguendo la segnaletica, si attraversano le località di Tarcetta e Antro e da qui si procede sempre diritti per alcuni Km fino ad arrivare alla prima borgata del paese (Sosgne). Per arrivare al sito dove fu provvisoriamente sepolto il partigiano Anselmo Calderini "Ivan" bisogna percorrere il sentiero che parte dalla borgata di Cedermas e salire, attraverso un bosco, fino alla chiesetta di San Nicolò (oggi la chiesetta risalente al XII secolo è in rovina e rimangono visibili il muretto di cinta e alcuni muri perimetrali).
Infine segnaliamo che nella borgata Flormi è presente una lapide che commemora i partigiani del comune di Pulfero
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