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ANPI
Cividale del Friuli

600 mila NO!

presentazione della mostra
sugli internati Militari Italiani
intervento di Adriano Bertolini

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Credo che la mostra prodotta dall'ANPI provinciale di Udine e curata per la parte storica dal prof. Flavio Fabbroni illustri bene e in modo sintetico una vicenda su cui fino a pochi anni fa non c'erano punti di riferimento e sui cui non c'era una trattazione organica e approfondita.A tuttoggi non esiste un elenco completo degli Internati Militari Italiani (IMI) e, a nostra disposizione, c'è solo l’elenco degli IMI deceduti in prigionia (circa mille nelle attuali province di Udine e Pordenone). A cura dell'ANPI è in corso un lavoro di raccolta di documentazione tramite le famiglie che hanno avuto fra i loro cari qualche internato per avere le memorie di queste persone, foto e eventuali documenti. Tutto materiale che può arricchire quanto già a disposizione degli storici.
La mostra procede in ordine di cronologico partendo dall’entrata in guerra dell'Italia fascista nel 1940 fino ad arrivare al riconoscimento nel 1977 degli IMI come resistenti.
L’Italia entra in guerra impreparata (lo ammise lo stesso esercito) sia dal punto di vista organizzativo che dal punto di vista dell’equipaggiamento. Quella dell'Italia è stata una guerra offensiva e le motivazioni con cui i soldati parteciparono agli eventi bellici non erano quelle dei ragazzi del Piave del 1918. Lo stesso consenso del popolo italiano verso l'ipotesi di entrare in guerra era piuttosto tiepido.
Mussolini entra in guerra per calcolo perché vede che Hitler sta vincendo e l'ingresso in guerra a fianco dell'alleato germanico permetterà di raccogliere i dividendi di una vittoria che appare imminente in un conflitto che si prevede di breve durata.
Un azzardo pagato caro dal regime e soprattutto dal popolo italiano.
L'Italia in breve si trova a combattere su più fronti e le difficoltà si manifestano quasi subito: sul fronte francese i progressi sono modesti, nei Balcani i tedeschi ci salvano dal tracollo, l'Africa orientale è persa, ...
Nel periodo a cavallo fra il dicembre 1942 e il gennaio 1943 comincia la ritirata dalla Russia e lo sbarco alleato in Sicilia del luglio 1943 fa entrare il fascismo in crisi. Nel mese di luglio del 1943 il Gran Consiglio sfiducia Mussolini che, arrestato dal Re, viene confinato sul Gran Sasso dove i tedeschi a settembre lo libereranno. A fine settembre si costituisce la Repubblica di Salò (RSI) al cui vertice c'è Mussolini ma che di fatto è sotto tutela tedesca. Il governo Badoglio firma l'armistizio a Cassibile in Sicilia e l'8 settembre 1943 l'armistizio viene reso pubblico.
L’esercito formato da circa 2 milioni di effettivi con 450 mila uomini nei Balcani, quando viene a conoscenza della dichiarazione di armistizio non riceve disposizioni precise e chiare sul da farsi.
L’esercito è disorientato e isolato, mentre i tedeschi avevano capito ben prima dell'armistizio che l'Italia stava cercando un accordo con gli anglo-americani. Reagiscono in anticipo e già ad agosto cominciano ad entrare in Italia truppe tedesche. Qui da noi entrano attraverso il valico di Tarvisio e si posizionano a Tolmezzo, Gemona, Tarcento. Il primo atto della Resistenza avviene a Tarvisio dove le guardie confinarie della caserma Italia non cedono le armi e resistono ai tedeschi per una giornata. Il bilancio è pesante: 25 morti e altri 95 soldati deportati in Germania.
I tedeschi si organizzano e arrestano circa 1 milione di soldati italiani, altri non sono catturati perché riescono a fuggire al sud o sono in Sardegna o altrove, molti entrano nella Resistenza. All’inizio circa 250 mila riescono a fuggire dalle mani tedeschi riuscendo a tornare a casa dopo aver dismesso la divisa e ricevuto dalla popolazione abiti borghesi, altri si sono nascosti presso famiglie contadine.
Dai Balcani partono numerosi treni con militari italiani a cui si fa credere che per loro la guerra è finita e che si rientra a casa. L'illusione di tornare a casa spiega perché non c'è una reazione e una resistenza ai tedeschi. I soldati salgono sui carri, portando con se bici, borse e altri generi, agli ufficiali è lasciata l'arma di ordinanza, si viaggia a portelloni aperti, ... Arrivati al confine i portelloni sono chiusi, agli ufficiali è tolta la pistola e dopo alcuni giorni di viaggio raggiungono i campi di detenzione.
Le condizioni sono dure: poco cibo, poca acqua, freddo. All'inizio c'è un po' di libertà e la disciplina non è rigida.
Agli internati si propone di collaborare con la Repubblica di Salò e, dopo un addestramento 6 mesi con esercito tedesco, di tornate in Italia. Circa 80 mila aderiscono alle formazioni che combattono per la Repubblica Sociale Italiana guidata da Mussolini. Gli altri rimangono in prigionia e a loro si da l'opportunità di ripensare la loro decisione anche mostrando la differenza di trattamento riservata ai soldati collaborazionisti. Anche alcuni ufficiali mandati da Mussolini cercarono di fare opera di convincimento. I risultati sono molto modesti perché la maggioranza degli IMI disse no.
Perché questi soldati, pur in condizioni difficilissime, non vogliono continuare guerra a fianco di Hitler e Mussolini?
Io penso che questi uomini non volessero fare la guerra perché non avevano le motivazioni per continuare anche perché, fino a poco prima, avevano partecipato ad una guerra di cui non avevano capito bene le ragioni. Si erano resi conto che in Jugoslavia, Grecia, Albania avevano occupato territori altrui e che avevano combattuto contro formazioni partigiane sostenute dalle popolazioni.
Gli ufficiali avevano altre motivazioni, avevano giurato fedeltà al re e non a Mussolini e anche se Vittorio Emanuele III e il suo governo avevano abbandonato Roma lasciando tutti senza disposizioni e ordini precisi, per loro rimaneva un riferimento.
Le condizioni di vita nei campi di concentramento era diversa per ufficiali e truppa. La truppa stava da una parte, gli ufficiali e gli ufficiali di alto rango da un'altra. Gli ufficiali non dovevano lavorare e avevano tempo per scrivere diari, memoriali, fare foto, ...

I soldati italiani vengono avviati al lavoro coatto nell'industria bellica, nell'industria pesante, nell'industria mineraria, nell'edilizia e nel settore alimentare.
Le condizioni di lavoro degli IMI erano molto difficili
, il vitto è insufficiente, molti si ammalano e nell'agosto del 1944 gli internati malati vengono mandati a a casa. Il loro rientro in Italia è controproducente perché rivela alla popolazione quale è il trattamento che è stato loro riservato in Germania. I trasferimenti cessano perché la RSI non riesce a giustificare quanto accaduto agli italiani detenuti dal loro alleato germanico.
Gli internati sono liberati fra aprile e maggio 1945 in parte dai russi e in parte dagli alleati. All’inizio non si organizza il rientro e non ci si prende cura di loro, sostanzialmente si dice loro di arrangiarsi. Rientrano in Italia fra l'agosto e il settembre 1945
spesso in condizioni tali da non essere riconosciuti nemmeno dai familiari. Rientrano in un territorio provato dalla guerra e dalle distruzioni in cui le sofferenze patite dai civili non erano state molto dissimili da quelle patite dagli internati.
Rientrano in contesti sociali fatti di piccole comunità dove moltissime persone erano state favorevoli alla guerra e avevano aderito con entusiasmo al fascismo. La loro storia avrebbe raccontato dell'impreparazione alla guerra, delle umiliazioni subite, della fame, del freddo, ...
Negli internati al rientro non c'è nemmeno una presa di coscienza politica e le associazioni che a cui hanno aderito come ex deportati hanno carattere apolitico e svolgonoo una funzione prettamente assistenziale. Nelle attestazioni ricevute non c'è nessun riferimento alla guerra fascista e al nazismo, la stessa classe dirigente è fatta di persone riciclate spesso compromesse con il regime fascista.
Nel 1977 una proposta di legge firmata fra l'altro dai senatori Cengale, Saragat, Nenni, Terracini propone di parificare la Resistenza di questi uomini alla Resistenza svoltasi in Italia e si da a questa resistenza un valore politico (anche se forse la Resistenza degli IMI aveva caratteristiche prepolitiche perché era difficile attendersi una consapevolezza politica in giovani che non avevano avuto sotto il regime l'opportunità di formarsi una coscienza politica).
Per chiarire cosa stava cambiando negli anni '70 basta ricordare che un ex IMI - nel 1967 aveva ricevuto una attestazione con croce di guerra per internamento in Germania. La stessa persona nel 1983, a firma Spadolin, riceve una attestazione in cui si dichiara che "essendo stato deportato in lager e avendo rifiutato la liberazione per non servire l’invasore tedesco e la Repubblica Sociale durante la Resistenza, è autorizzato a fregiarsi ai sensi della legge 1dicembre 1977 n. 907 del destintivo d’onore dei patrioti volontari della libertà".

nota della redazione: il testo proposto in questa pagina riporta i passaggi, a nostro avviso, più significativi della presentazione di Adriano Bertolini che ha collaborato alla realizzazione della mostra inititolata "600.000 NO a Hitler e al suo alleato Mussolini".

elenco degli internati militari
del Cividalese e delle Valli
del Natisone caduti durante
la prigionia in Germania