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ANPI
Cividale del Friuli

sull'uso pubblico della storia

conferenza con lo storico Davide Conte

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Stamattina proveremo a ragionare di una questione, l'uso pubblico della Storia, che interessa direttamente la formazione alla cittadinanza oltre che un processo culturale di una popolazione, di una comunità nazionale cioè che si riconosce dentro un patto collettivo costruito attorno alla formazione delle Istituzioni e dei paradigmi valoriali che compongono la forma di queste Istituzioni. Nel nostro caso specifico la Costituzione repubblicana.
Partiremo ponendoci una domanda che è la domanda principale: a cosa serve la Storia, qual è la sua funzione all'interno della sfera pubblica del nostro spazio comune. Ora, se la Storia si limitasse a ricostruire in termini di cronaca, dati, fatti, luoghi, nomi… ecco, se si limitasse a questo, oggi nel 2023, perderebbe molto se non tutto il suo peso all'interno della sfera pubblica perché facilmente sostituita banalmente dai mezzi tecnologici, i ragazzi con i loro computer con i loro tablet con i loro dispositivi digitali possono digitare su un motore di ricerca qualsiasi domanda e ottenere in pochi istanti centinaia di risposte: cento volte numericamente superiori a quelle che potrebbe dare qualunque storico!
Se la Storia però oltre a questo ricompone un orizzonte di senso a quei fatti, costruisce cioè un rapporto dialettico tra passato e presente, ci spiega in sostanza non solo da dove veniamo, non solo dove siamo arrivati ma soprattutto perché! Perché siamo ciò che siamo e non siamo un'altra cosa, ecco, se la Storia riesce a spiegare e a rispondere a questa domanda, riacquista, organicamente, la sua centralità nello spazio pubblico. E allora, dentro questa composizione, complessiva, l'uso pubblico della Storia, che non è un fattore emerso negli ultimi anni, è un dispositivo della costruzione della narrazione del passato che data secoli. Ecco l'uso pubblico della Storia diventa il punto da un lato di conflitto, dall'altro di formazione critica del sapere attorno al tempo che è trascorso.
Il nostro Paese è stato un Paese che ha vissuto la sua transizione dal Fascismo alla Democrazia in una forma assai peculiare, contraddittoria e complessa, che ha riportato e riporta tuttora nelle forme del nostro essere civile, politico, sociale, culturale, degli elementi, delle faglie, delle problematiche insolute. L'Italia è un Paese molto particolare, perché inizia la Seconda Guerra Mondiale a fianco della Germania di Hitler e del Giappone di Hirohito e finisce il conflitto, come sapete, cobelligerante con le forze alleate.
E' un Paese che ha dato i natali al Fascismo, qui, e in particolare su queste terre nasce il Fascismo, quando ragioniamo del Fascismo di frontiera, del Fascismo di confine, non stiamo ragionando solo esclusivamente di un fenomeno locale, quando parliamo di questo, di quel fenomeno, parliamo della radice d'origine che determina l'emersione in Italia e nel Mondo di un fenomeno politico assolutamente inedito cioè una forma di modernizzazione autoritaria, dittatoriale, come risposta ad una serie di questioni che emergono dal fuoco della Grande Guerra: l'ingresso delle masse nella dimensione pubblica, nella sfera pubblica; la loro rivendicazione di una forma nuova della cittadinanza; la crisi dello stato liberale; la ridefinizione e risignificazione del vissuto delle società moderne contemporanee che escono fuori da quel grande massacro di massa che è stata la Grande Guerra.
La Seconda Guerra Mondiale, quella che l'Italia attraversa guidata dal Fascismo e da Mussolini, è un conflitto che cambia completamente il segno della nostra modernità, cambia addirittura il modo in cui si pensa, si realizza, si vive la guerra.
Se la Prima Guerra Mondiale era stata un grande massacro di massa, questa si era consumata, lungo le trincee, sui campi di battaglia, tra eserciti regolari, vestiti con le divise, composti da soli uomini e mobilitati dai vertici dello Stato, dagli Stati Maggiori, dai Governi, dalle Monarchie, la Seconda Guerra Mondiale, cambia tutto, diventa immediatamente guerra totale ovvero cancella la distinzione che separava, fino alla Prima Guerra Mondiale, il fronte militare, dove si combatte e il fronte civile dove l'elemento militare è assente. Il fronte civile può essere mobilitato a fini bellici ma non si combatte materialmente sul fronte interno. Con la Seconda Guerra Mondiale, l'occupazione militare di interi Paesi, di interi Continenti, la guerra diventa guerra totale. Non fa più distinzioni, cancella la linea di separazione tra fronte civile e fronte militare e trasforma il modo di interpretare quel conflitto. Pone cioè all'ordine del giorno la necessità, per le popolazioni civili, di non essere più soltanto oggetto del conflitto ma soggetto del conflitto.
E allora se la Prima Guerra Mondiale era stata una guerra combattuta nelle trincee da soli uomini, in divise regolari, mobilitati dagli Stati Maggiori dell'esercito, la Seconda Guerra Mondiale, a partire dal collasso dell'8 settembre 1943 in Italia, diventa tutt'altro.
Diventa un conflitto totale, una guerra totale, che coinvolge i civili e che li mobilita per la prima volta su base volontaria in ordine alla costruzione di un esercito politico, volontario, che non veste nessuna divisa, che è formato da uomini e da donne e che combatte un conflitto, che come ha spiegato il più grande storico della Resistenza italiana, Claudio Pavone, ne sintetizza al suo interno almeno tre.
La Resistenza è stata sicuramente un conflitto frontale, una guerra di Liberazione nazionale che ha opposto un popolo occupato a un esercito occupante è stata però un conflitto orizzontale, anche, una guerra civile che ha contrapposto italiani fascisti a italiani antifascisti. E' stata un conflitto verticale, una guerra di classe, mossa stavolta dai ceti subalterni, dalle classi popolari che avevano subito il ventennio del Fascismo, contro le classi proprietarie e che il Fascismo avevano voluto, avevano alimentato, avevano sostenuto al Governo per vent'anni. E' stata, aggiungo io, un conflitto trasversale, una guerra di genere, perché le donne per la prima volta prendono in carico il loro destino assumono in prima persona l'iniziativa, una soggettività nuova che verrà trasferita, una volta conquistata la libertà con le armi, verrà trasferita nel Diritto con la penna cioè con la Costituzione Repubblicana.
Questi elementi di complessità fanno del ragionamento dell'Italia sul suo passato fascista un punto di osservazione decisivo per comprendere lo sviluppo storico della nostra forma democratica, per comprendere cioè quali siano state le aporie, le torsioni, che questo passaggio, che questa transizione dal post-fascismo alla Democrazia ha compiuto, ha determinato nel nostro nuovo spazio collettivo. E allora, all'indomani della fine della guerra, il nostro Paese si trova in una condizione molto particolare, lo abbiamo detto, ha iniziato il conflitto alleato dell'Asse e l'ha finito cobelligerante con gli alleati; è anche però un Paese che è abitato da un forte movimento di Resistenza, da una vasta minoranza di italiani e italiane che si sono organizzati e strutturati attorno ai gruppi dirigenti antifascisti e alle brigate partigiane. E' anche un Paese che ha al suo interno, all'interno del suo Stato, un altro Stato, il Vaticano, con una sua collocazione geopolitica, con una sua politica estera. E' anche un Paese che alla fine della guerra è collocato esattamente sulla linea di confine e voi lo sapete meglio di qualunque altro. Su quella linea di confine che separa l'est sovietico dall'ovest atlantico e contestualmente, che separa il nord del Mondo dal sud del Mondo. E' un Paese a doppia frontiera l'Italia. E' anche un Paese che all'interno del suo Movimento di Resistenza, all'interno del suo processo di formazione politica, democratica, trova il più forte Partito Comunista d'occidente, alleato di Mosca.
Queste ragioni di complessità, questa resa di complessità, ci consente di leggere i motivi per cui la transizione dal Fascismo alla Democrazia sostanzialmente fallisce nel nostro Paese.
E ci consente di capire come, ma soprattutto perché, noi abbiamo assunto una forma di narrazione del nostro passato anziché un'altra forma di narrazione del nostro passato. Proviamo a guardare e a capire perché.
All'indomani della fine della guerra l'Italia è responsabile delle invasioni militari che hanno scatenato la guerra totale assieme alla Germania nazista. E' responsabile dell'invasione dell'Albania, della Grecia, della Jugoslavia, della Russia, della Francia, dell'Etiopia, della Libia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le Nazioni Unite stilano un elenco di criminali di guerra italiani, colonnelli, generali, alti funzionali, capi dei Servizi Segreti, alti ufficiali della Pubblica Sicurezza, dell'Arma dei Carabinieri che devono rispondere di crimini contro l'umanità, di rappresaglie indiscriminate, di fucilazioni, di torture contro Partigiani e civili, di deportazioni, di stupri di massa.
Alla fine della guerra neanche uno, neanche uno soltanto, degli italiani iscritti in quella lista, verrà portato a processo. Non ci sarà nessuna Norimberga italiana nel nostro Paese e questo determinerà un elemento di contraddizione, di torsione della Storia, che ci porteremo dietro nei decenni successivi.
Perché, com'è possibile che questo sia accaduto?
Per due ordini di ragioni. Un ordine internazionale e un ordine interno, nazionale.
Il contesto internazionale consente a queste migliaia di criminali di guerra di mantenere il proprio posto, anzi, di fare carriera all'interno delle Istituzioni repubblicane in ragione del ridisegno geopolitico globale che la "guerra fredda" determina, trasformando i nemici della "guerra calda" combattuta con le armi in nuovi alleati e nello stesso momento, gli alleati che hanno combattuto e vinto la "guerra calda" i nemici della "guerra fredda".
Questo ridisegno geopolitico complessivo pone all'ordine del giorno un problema enorme alla classe dirigente italiana: processare migliaia di alti ufficiali della Pubblica Amministrazione, degli apparati di Forza, del Ministero della Difesa, del Ministero dell'Interno, dell'Arma dei Carabinieri, dell'Esercito significa non solo portarli alla sbarra ma significa rimuoverli e quindi porsi il problema della loro sostituzione: e con chi?
Con quel personale politico e militare che si era formato nella guerra di Liberazione nazionale del 1943-1945.
Ma la domanda, retorica, che ci poniamo è questa: poteva la costituenda Alleanza atlantica, il nuovo dispositivo militare internazionale che noi impareremo a conoscere e a chiamare con il nome di NATO riorganizzare l'Italia sul piano amministrativo e militare, inserirla, in questa Alleanza sostituendo tutto il personale ex fascista con personale proveniente dalla Resistenza che per il 70%, dal punto di vista numerico, faceva capo ai partiti Socialista e Comunista, alleati di Mosca? Non poteva farlo e non lo fece.
Di più, l'impunità per i criminali di guerra era funzionale ad una logica di conflitto ideologico, la "guerra fredda" non era più soltanto contrapposizione tra blocchi militari, era contrapposizione tra blocchi militari e tra sistemi ideologico-politici contrapposti. E quale personale più ideologicamente formato all'anticomunismo poteva esserci nel nostro Paese se non gli ex fascisti?
Non è soltanto per questo, per un motivo anche prosaico, la continuità dello Stato assume un carattere strutturale nel nostro Paese, per un motivo semplice, perché tutto quel personale, tutto quel personale fascista, era ricattabile. Sulla sua testa pendeva la spada di Damocle della consegna ai Paesi che ne facevano richiesta, tramite estradizione, e dei processi all'estero o davanti alla Corte Internazionale. Il ceto politico che l'aveva salvato, salvandolo, si era anche garantita la sua eterna fedeltà, assoluta. In nome di questa ricattabilità, qualsiasi ordine fosse stato loro impartito sarebbe stato eseguito.
Nell'ambito dell'inchiesta svolta a Brescia nel quadro delle indagini sulla strage del 28 maggio 1978, ci siamo imbattuti come consulenti, in un documento davvero stupefacente: una informativa, lunga, del 1972 che racconta la costruzione, la fondazione di un servizio segreto parallelo, militare, operante in Italia e operante nelle stragi degli anni '60 e '70. Il documento inizia così testuale: "Questa è la storia di un servizio segreto clandestino fondato nel 1944 dal generale Mario Roatta".
Mario Roatta era il primo nome presente nella lista delle Nazioni Unite dei criminali di guerra italiani da processare. Era stato comandante di Corpo d'Armata in Slovenia e lì, da quella posizione, aveva ordinato deportazioni, fucilazioni, distruzione di villaggi, torture, crimini di guerra. Ora cosa c'entrasse un criminale di guerra, generale fascista, del 1944 con una strage del 1974 nel nostro Paese dava l'idea della persistenza che la continuità dello Stato ha rappresentato in termini di ipoteca sulla qualità della nostra democrazia.
E allora guardiamone qualcun altro di questi criminali di guerra, guardiamo le loro traiettorie biografiche, perché raccontano tanto di ciò che siamo stati di ciò che siamo ancora.
A Lubiana, l'attuale capitale della Slovenia, come sapete, durante l'occupazione italiana viene installata una Questura con il compito i governare l'ordine pubblico, con misure draconiane, vengono chiamati a dirigere quella Questura due funzionari del SIM fascista, Ettore Messana e dell'OVRA, Ciro Verdiani. In questo ordine cronologico si alternano alla guida della Questura ordinando e facendo compiere crimini di guerra di tutti i tipi. Alla fine del secondo conflitto mondiale vengono entrambe iscritti nella lista dei criminali di guerra dell'ONU.
Rientrano a Roma e vengono immediatamente riaggregati all'interno del Ministero di competenza e cioè il Ministero dell'Interno. Il Ministro dell'Interno, Mario Scelba, li manda nello stesso ordine cronologico con cui erano stati inviati a Lubiana in Sicilia, tra il 1945 e il 1947, con un compito molto preciso: organizzare l'Ispettorato di Pubblica Sicurezza che governi tutto l'ordine pubblico nell'isola siciliana. Con un compito ancora più specifico quello di sgominare e combattere le bande organizzate di delinquenza comune, la Mafia non si chiamava ancora Mafia all'epoca. Ora, quando nel 1953, la Corte d'Appello di Viterbo emette la sentenza sulla strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, quella sentenza scritta dai giudici indica in Ettore Messana e Ciro Verdiani, i due responsabili dell'Ordine Pubblico in Sicilia, che hanno nell'ordine: finanziato, armato, protetto la latitanza con documenti falsi e addirittura con cure mediche il bandito Salvatore Giuliano e gli uomini della sua banda: cioè gli esecutori materiali della strage del 1° maggio 1947!
Giuseppe Pièche era il capo della III sezione del Controspionaggio del SIM fascista, viene mandato da Mussolini in Spagna, durante la guerra civile, con un compito molto preciso, quello di individuare e intercettare tutti i volontari italiani che partono dal nostro Paese e vanno a combattere in difesa della Repubblica spagnola aggredita dalle truppe di Francisco Franco. Pièche intercetta molti, moltissimi di questi volontari, alcuni li uccide, altri li arresta, altri ancora li ricatta: li ferma, li arresta, li minaccia di uccidere i loro famigliari rimasti in Italia e li trasforma in spie da inserire nel fronte repubblicano per disarticolarlo.
Svolge talmente bene questo compito d'intelligence che, al suo rientro in Italia, Mussolini lo promuove come suo braccio destro, gli assegna il compito di riaggiornare il Casellario Politico Centrale, la più grande schedatura di massa della nostra storia unitaria!
Diventa vice comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, nel 1941 viene inviato a Spalato, per organizzare la polizia politica degli Ustaša croati. Nel 1943 rientra in Italia, si consegna agli alleati dopo l'Armistizio e immediatamente viene promosso. Diventa comandante generale dell'Arma dei Carabinieri per il Mezzogiorno liberato e a fine della guerra, Mario Scelba, il Ministro dell'Interno, lo chiama con se e lo nomina suo braccio destro: il braccio destro di Mussolini diventa il braccio destro del Ministro dell'Italia repubblicana antifascista. Scelba chiede a Pièche di fare quello che ha sempre fatto perchè i nemici sono rimasti gli stessi: riaggiornare il Casellario Politico Centrale, organizzare una rete clandestina di Prefetti , una rete di Prefetti ombra, come li chiamerà Scelba, che in caso di vittoria alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 del Fronte Popolare, delle sinistre, deve sostituire i Prefetti legalmente in carica e determinare, come si diceva all'epoca, un giro di vite repressivo in tutto il Paese in chiave antisocialista e anticomunista.
Giuseppe Pièche istituisce in quegli anni un'associazione assieme ad un partigiano monarchico, si chiamava Edgardo Sogno, l'Associazione si chiamava "Pace e Libertà".
Nel 1974, l'allora giudice istruttore di Torino, Luciano Violante, metterà sotto inchiesta Sogno e la sua struttura "Pace e Libertà" per il tentato "Golpe Bianco" appunto del 1974.
Giuseppe Pièche sarà anche direttamente partecipe al tentato "Golpe Borghese" del 7-8 dicembre del 1970, organizzato dall'ex capo della X MAS. Scapperà dall'Italia, si renderà latitante, perchè raggiunto da un mandato di cattura e rientrerà da Malta, nel nostro Paese, solo quando, caso unico nella storia giudiziaria italiana, tutti gli imputati di quel processo saranno assolti: persino i rei confessi! Di Giuseppe Pièche e di suo figlio Augusto parla nel suo libro di memorie, scitto a quatto mani col compianto giornalista Piero Scaramucci, Licia Pinelli, la vedova del ferroviere anarchico morto in Questura il 15 dicembre del 1969, tre giorno dopo la strage di piazza Fontana.
Racconta in quel libro che nel maggio del 1968 il famoso viaggio in Grecia dei neo-fascisti italiani dei gruppi di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo, viene organizzato, nella "Grecia dei colonelli", un viaggio che serve a formare politicamente e ideologicamente e sul piano para-militare quei giovani neo-fascisti, che riporteranno i nomi di Delfo Zorzi, Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, cioè i protagonisti di quella che sarà poi la "strategia della tensione".
Ad organizzare quel viaggio è stato un colonello del SID, del servizio segreto militare, rinominato dopo la transizione dal Fascismo alla Democrazia. Il colonello del SID si chiamava Augusto Pièche, ed era il figlio di Giuseppe Pièche, che aveva introdotto appunto Augusto nell'ambito delle attività di intelligence fino a fargli raggiungere quel grado di internità agli apparati dello Stato.
Questi che sono solo alcuni degli esempi della ipoteca che la continuità dello Stato ha determinato sulla qualità della nostra Democrazia, ci raccontano anche di come abbiamo raccontato la nostra Storia nel dopoguerra.
Attorno ad un nucleo narrativo tanto falso quanto estremamente radicato nella nostra mentalità nazionale, il mito degli "italiani brava gente", del "buon italiano", che a differenza del tedesco, proprio per l'assenza di una Norimberga, per l'assenza di un processo pubblico di sanzione delle politiche del regime fascista, in assenza di tutto questo, può rappresentarsi come distinto dall'ex alleato, come diverso, in una rappresentazione che, dobbiamo stare attenti, non è soltanto propria dei reduci di Salò, degli apparati dello Stato, ma è diffusissima nella popolazione civile.
Tutti voi avrete visto un film molto celebre del 1994, vinse l'Oscar, si chiama "Mediterraneo". Ora in quel film si racconta l'arrivo di militari italiani, fascisti, del Regio Esercito, che sbarcano su un isola dell'Egeo, in Grecia, durante l'occupazione iniziata il 28 ottobre 1940. Ora in quel film, i soldati italiani, non sparano, non costruiscono posti di blocco, Questure, caserme, non fanno la guerra, non deportano, non uccidono... fanno le partite di calcio, affrescano le chiese, sposano la bella del paese.
Quella rappresentazione, il mito degli italiani "brava gente", è talmente diffusa e radicata che ha consentito un processo di autoassoluzione della nostra popolazione ed ha evitato i conti con la Storia, che sono laceranti sul piano civile, appunto l'uso pubblico della Storia.
Sono laceranti perchè fare i conti con quel passato e beh significa chiedere conto. Significa per i figli chiedere conto ai padri, ai nonni, quale sia stata la loro condotta quando venivano perseguitati gli antifascisti, quando venivano promulgate le leggi razziali, quando venivano conquistati i territori, le colonie, quando veniva perpetrata una politica di discriminazione strutturale e sistemica che il Fascismo aveva disposto atteraverso due pilastri della propria ideologia: la società mono-dimensionale e la società categoriale, cercheremo di capire poi in che cosa consistono. Fare i conti con quella Storia quindi significa rompere, spaccare il tessuto civile di una Paese già sepolto dalle macerie materiali e morali della guerra. Questa scelta non viene operata nel dopoguerra e viene invece assunto un falso mito auto-assolutorio attraverso l'uso pubblico della Storia che declina l'esperienza italiana della Seconda Guerra Mondiale come un esperienza vittimistico-assolutoria.
Della campagna di Russia non si ricorda l'aggressione ma il tragico rientro dei soldati, della campagna nei Balcani si ricordano le "Foibe" e non i crimini di guerra compiuti in quei territori. Tutto questo se era disposto attorno ad un senso comune dalla fine degli anni novanta ha trovato una sistematizzazione istituzionale: un calendario civile.
Allora proviamo a guardarlo questo calendario civile, data per data e a capire quanto in realtà queste giornate della memoria servano più a dimenticare che non a ricordare.
Iniziamo con il 27 gennaio, che è appena trascorso.
In quella data, lo sapete, ricorre l'anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birchenau ad opera dell'Armata Rossa. E' una giornata ricordata a livello internazionale, mondiale, globale si direbbe oggi. Ma appunto, poichè l'uso pubblico della Storia ha un senso nello spazio politico di una comunità che si riconosce in un portato valoriale... la Francia, per esempio, che non ha combattuto la guerra a fianco di Hitler, che non ha promulgato le leggi razziali, che non ha riempito i vagoni piombati di esseri umani per essere deportati nei campi di sterminio, ecco quel Paese, ha scelto di affiancare alla celebrazione del 27 gennaio, una giornata della memoria francese, che ricordi i crimini francesi, le politiche di sostegno francesi, dei collaborazionisti francesi di Vichy, della republica collaborazionista di Vichy, nella Shoah e nelle politiche di sterminio, indicando nella giornata del 16 luglio la giornata della memoria francese, giorno in cui ricorre l'anniversario del rastrellamento antiebraico di Parigi, quando vennero appunto arrestati e deportati in Germania oltre 10 mila ebrei parigini dalla polizia politica della Repubblica di Vichy.
In Italia, un paese che invece ha dato i natali al Fascismo, ha promulgato le leggi razziali, discriminato gli antifascisti, gli omosessuali, gli zingari, i Sinti, i Rom, gli ebrei, i Testimoni di Geova, i diversamente abili, gli asociali, che ha combattuto la guerra a fianco di Hitler, che ha riempito i vagoni piombati che portavano le persone ad Auschwitz, ecco questo Paese… quando in Parlamento è stata presentata la mozione che, sul modello francese chiedeva di affiancare al 27 gennaio un giorno della memoria per i crimini del fascismo, indicando il 16 ottobre, giorno del rastrellamento antiebraico di Roma, nella capitale, proprio come avevano fatto in Francia, con voto, come si diceva allora, bipartisan, quella mozione viene bocciata e nel nostro immaginario collettivo, nella nostra rappresentazione semantica, il 27 gennaio la giornata della memoria, ricordano un carro armato russo che entra in territorio polacco e distrugge il reticolato di un campo di sterminio tedesco: l'elemento italiano semplicemente è sparito!
Il 10 febbraio celebriamo la "giornata del ricordo". In quella giornata si vorrebbero ricordare i morti delle "Foibe", come sapete benissimo, a rigore e a logica, in ragione dei fatti, se si fosse voluta ricordare quella vicenda si sarebbe dovuta collocare in una data corrispondente alle violenze del settembre-ottobre 1943 o del maggio 1945 e invece, con voto bipartisan, il Parlamento italiano istituisce la "giornata del ricordo" il 10 febbraio che con le foibe non c'entra niente ma in realtà coincide con la ricorrenza, quella sì estremamente importante, come sapete, della firma del Trattato di pace di Parigi che chiude anche diplomaticamente la Seconda Guerra Mondiale cioè il più grande massacro di massa nella Storia dell'umanità che l'Italia contribuì a scatenare.
Ora quando nel 1947 la delegazione italiana guidata da De Gasperi torna in Italia per la ratifica in Parlamento di quel trattato, a chiamare quel trattato una mutilazione del territorio nazionale, un diktat, era soltanto un piccolo sparuto gruppo di reduci della Repubblica Sociale, di reduci fascisti che quella guerra avevano perduto.
Oggi, con voto bipartisan, la contestazione di legittimità indiretta di quel passaggio storico è diventata memoria di Stato, rovesciando lo status dei soggetti storici in campo, trasformando cioè gli italiani da aggressori in vittime e gli aggrediti in carnefici: gli jugoslavi.
Il 17 di marzo l'Italia celebra la sua "giornata dell'unità nazionale" qui il nostro Paese non è soltanto un laboratorio ma è un caso unico al Mondo!
Per decreto viene istituita la "giornata dell'unità nazionale" il 17 di marzo giorno della ricorrenza della promulgazione dei Decreti Regi che unificano i territori del Meridione al Regno dei Savoia, ma se la Storia, se la ragione dei fatti della Storia non ci inganna, a questo punto anche la geografia non c'inganna, al 17 marzo 1861, all'unità d'Italia manca Roma capitale e i territori dello Stato Pontificio e una parte del Lombardo-Veneto. Sarebbe stato più logico a rigore di Storia indicare la "giornata dell'unità nazionale" il 20 settembre giorno della breccia di Porta Pia, della fine del potere temporale della Chiesa, del ritorno di Roma come capitale d'Italia ma questo avrebbe costruito un conflitto memoriale con lo Stato del Vaticano e quindi l'Italia, per decreto, ha scelto di celebrare, caso unico al Mondo, la propria giornata dell'unità nazionale quando a quella data l'unità nazionale non esiste! Perdendo l'occasione peraltro di ripristinare il 20 settembre come giorno laico, civile, di celebrazione di festa abolito proprio dal Fascismo nel 1929 dopo la firma del Concordato con la Chiesa.
Il 9 maggio viene celebrata la "giornata della memoria delle vittime del terrorismo", in quella giornata, voi lo sapete, ricorre l'anniversario del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, sequestrato e ucciso dalla Brigate Rosse e lasciato in via Caetani a Roma a metà strada tra le Direzioni nazionali del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana.
Ora se lo sviluppo storico della nostra democrazia fosse stato lineare fino a quel momento non ci sarebbe stato nulla da eccepire nell'indicazione di quella data come giorno della memoria delle vittime del terrorismo, ma noi sappiamo bene che, pur volendo enucleare come fatto a sé stante e non lo è, la strage del 1°maggio 1947 di Portella della Ginestra, il fenomeno del terrorismo nel nostro Paese emerge con un carattere di persistenza e di qualificazione dei decenni '60 - '70 nel nostro Paese, almeno dal 12 dicembre 1969, il giorno della strage di piazza Fontana.
In Parlamento viene presentata questa mozione che chiede di istituire nel 12 dicembre il giorno di ricordo delle vittime del terrorismo, con voto bipartisan, viene bocciato e con lo stesso voto bipartisan viene approvata la mozione che istituisce quella giornata il 9 maggio. Perché è molto più semplice, soprattutto per le Istituzioni rispetto alle nuove generazioni, ai giovani, ai giovanissimi che quegli anni non hanno vissuto raccontare una Storia che parla di un nemico e di un soggetto esterno allo Stato che attacca il cuore dello Stato, per parafrasare la grammatica brigatista dell'epoca, piuttosto che spiegare che il fenomeno del terrorismo ebbè proprio dal cuore dello Stato è nato in questo Paese con le stragi!
Pensavamo di aver chiuso questa calendarizzazione della memoria e invece nell'ultimo scorcio della Legislatura appena conclusa, viene votata, con voto bipartisan, con un astenuto, la "giornata del ricordo del sacrificio del Corpo degli Alpini".
Ora, ammesso e non concesso che fosse necessario istituire una giornata di questo tipo per un solo Corpo delle Forze Armate, come giustamente ha sottolineato e ha fatto notare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma ammesso e non concesso questo qual è il girono in cui viene istituita questa giornata?
Si sarebbe potuto scegliere, per esempio, un giorno in grado di ricordare il contributo degli Alpini alla Resistenza, alla guerra di Liberazione nazionale, così come c'è stato restituito, peraltro in maniera straordinaria, dalle pagine degli alpini, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern, che sono partiti alla volta della Russia, dell'Unione Sovietica, come soldati della guerra fascista e ma sono tornati comandanti Partigiani!
No! Non è quella la data scelta e non è nemmeno una data in grado di riconciliare la dimensione militare di questo Corpo delle Forze Armate con la dimensione, la misura civile. Chi avrebbe avuto qualcosa da eccepire se l'istituzione di questa giornata fosse stata corrispondente all'impegno del Corpo degli Alpini nel terremoto in Friuli, nel terremoto in Irpinia… nessuno! Ma non è nemmeno quella la data scelta. La data che si sceglie per celebrare il Corpo degli Alpini è, attenzione, il 26 gennaio, giorno in cui ricorre la battaglia, vinta dagli Alpini, durante la Seconda Guerra Mondiale, contro l'Armata Rossa a Nikolaevka nel quadro dell'aggressione nazi-fascista dell'Unione Sovietica.
E dove si trova Nikolaevka? Dove si trova questa città? In Ucraina… uso pubblico della Storia. La Repubblica democratica antifascista sceglie con voto bipartisan di celebrare un proprio corpo delle Forze Armate in un giorno in cui ricorre l'anniversario di una battaglia vinta nel quadro di una guerra di aggressione fascista contro un Paese alleato.
Passa un giro d'orologio e il 27 gennaio i nemici del giorno prima diventano i Liberatori di Auschwitz del giorno dopo!
Voi capite che la torsione, l'uso pubblico della Storia, la strumentalizzazione della dialettica tra passato e presente, non diventa e non rappresenta solo ed esclusivamente una rivisitazione che rovescia il senso dei fatti del passato ma diventa lo strumento del governo del presente, volto e finalizzato a legittimare le scelte di oggi più ancora che la lettura degli eventi del passato. E allora se la Storia serve a qualche cosa, se la Storia ha una sua funzione all'interno della sfera pubblica questa è, senza dubbio, la funzione di costruzione, di strumenti di lettura, critica, dell'esistente, attraverso appunto l'occhio rivolto da un lato al passato e dall'altro al futuro. Se la Storia riesce a svolgere questa funzione questa straordinaria disciplina riacquista tutta la centralità che le è consona. Cioè quella centralità di formazione alla cittadinanza repubblicana che è il suo compito e restituisce centralità al significato dei processi storici in particolare alla centralità dell'antifascismo!
Oggi l'anti-fascismo ha assunto una rappresentazione quasi caricaturale, si dice: "non serve più l'anti-fascismo in assenza di fascismo!" riducendo quindi quel fenomeno storico, quel processo della Storia, un processo internazionale che ha visto coinvolti tutti i paesi che hanno combattuto la Seconda Guerra Mondiale nell'alleanza anti nazi-fascista.
L'anti-fascismo non ha rappresentato solo ed esclusivamente una forza d'urto ad un regime dittatoriale, se fosse stato solo questo avrebbe avuto un arco cronologico di vita molto delimitato. L'anti-fascismo non è stato questo perché si è fatto carico di rifondare gli Istituti della Democrazia. E' stata una vera e propria teoria dello Stato che si è assunta il compito di rovesciare i paradigmi valoriali del Fascismo. Il Fascismo, lo abbiamo accennato prima, si è costruito sostanzialmente su due corpi basilari sul piano ideale: la società mono-dimensionale e quella categoriale.
La società mono-dimensionale intesa come società ad una sola dimensione, un solo modo di intendere il lavoro, un solo modo di intendere la cultura, un solo modo di intendere le relazioni tra i popoli e tra gli Stati, un solo modo di intendere la sessualità, un solo modo di intendere la religione, un solo modo di intendere addirittura la struttura fisica degli esseri umani, tutto ciò che è disorganico a questa organicità della società fascista viene individuato, discriminato per legge in tempo di pace e in tempo di guerra portato ad Auschwitz!
La seconda base sociale, ideologica che il Fascismo compone e innesta nella nostra società è quella categoriale. La divisione cioè della società in due categorie: gli uomini e i sottouomini, così straordinariamente restituitaci dalle pagine di Primo Levi.
Fra i meritevoli di cittadinanza, in quanto tali e i non meritevoli di cittadinanza in quanto tali. Una differenziazione, una categorizzazione, che si associa alle divisioni sociali e in classe che già esistono nella nostra società, anche in Democrazia. Se il Fascismo ha costruito questa società l'anti-fascismo si propone di rovesciarla completamente!
Nel 1938 il Parlamento fascista promulga le leggi razziali, il 1° gennaio del 1948 il Parlamento antifascista promulga la Costituzione repubblicana, sono passati solo 10 anni… è cambiato tutto! Il Parlamento antifascista costruisce uno spazio inclusivo che finalmente rifonda la Democrazia nel nostro Paese, la rifonda perché include per la prima volta, finalmente, metà della popolazione che prima ne era esclusa: le donne!
La rifonda perché guarda alle differenze sociali come a un compito cui fare fronte da parte delle Istituzioni della Repubblica: la centralità del lavoro, l'uguaglianza sostanziale, l'articolo 1, l'articolo 3, l'articolo 42 la funzione sociale della proprietà privata e soprattutto la costruzione di uno spazio democratico che rovescia la società mono-dimensionale e categoriale. Laddove il Fascismo imponeva cosa essere, la teoria dello Stato antifascista, offre la disponibilità di scegliere cosa diventare: è una rivoluzione copernicana!
L'anti-fascismo porta diritti là dove non esistevano: alle donne, ai ceti popolari… ed è questa la centralità oggi dell'anti-fascismo. Una centralità che è ben percepita dalle classi dirigenti e proprietarie molto meno da noi.
Nel 2013 la banca d'affari più importante del Mondo, la JP Morgan, produce un piccolo report, di una cinquantina di pagine, in cui individua gli anelli deboli della catena economica dell'Unione Europea.
Sono quattro Paesi: la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l'Italia.
Queste quattro nazioni, dice quel report, hanno in comune una cosa, dice proprio così: hanno in comune una Costituzione antifascista che le rende quindi non esattamente compatibili col regime del libero mercato perché quelle costituzioni sono state scritte, nel 1945 per ltalia, e nel 1974-1977 per Grecia, Portogallo e Spagna, quando appunto questi Paesi uscivano dai regimi salazarista, franchista e dei colonnelli.
Ecco, la consapevolezza che la nostra non sia una Democrazia liberale, è fatta propria delle classi dirigenti molto meno da noi stessi. Ogni giorno, quotidianamente, ascoltiamo in televisione, leggiamo sui giornali democratici che la nostra sarebbe una democrazia liberale… ecco noi, grazie alle madri e ai padri costituenti, non siamo mai stati una democrazia liberale, perché democrazia liberale nel nostro Paese, storicamente, significa una cosa molto precisa, perché è esistita una democrazia liberale, quella pre-fascista, organizzata attorno alla Monarchia, alla discriminazione delle donne e alla discriminazione dei ceti subalterni la cui crisi, della democrazia liberale, ha spalancato le porte al Fascismo.
Questa è stata la democrazia liberale nel nostro Paese e in ragione di questa esperienza storica, madri e padri costituenti, hanno scelto di non ripristinare la democrazia pre-fascista ma di fondarne una nuova, appunto, una democrazia costituzionale che non è una democrazia liberale. Non lo è perché pone al centro delle sue fondamenta il lavoro, la sovranità popolare come espressione della Democrazia nella forma repubblicana, articolo 1, l'uguaglianza e la giustizia sociale e sostanziale, articolo 3, che fa obbligo alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale che impediscono ai lavoratori e ai cittadini di partecipare direttamente alla gestione della cosa pubblica, dello Stato. Lo è nell'articolo 42 che prevede l'esistenza della proprietà privata a patto che questa svolga una funzione sociale di progresso sul territorio nazionale.
Questi elementi qualificano la nostra Democrazia! Questi elementi hanno rovesciato il paradigma fascista, questi elementi rappresentano l'essenza dell'antifascismo di ieri e del suo precipitato storico nel nostro diritto oggi. Questa è la centralità dell'antifascismo, non solo la forza d'urto contro un movimento storico, ma un movimento storico in sé!
Da quella radice sono nati la Costituzione repubblicana in Italia, l'idea della Costituzione europea sovranazionale, il manifesto di Ventotene, che non a caso viene scritto qui in Italia, al confino fascista, da Spinelli, Rossi e Colorni e, sul piano internazionale l'ONU, le Nazioni Unite che nascono nel 1948.
Chiudo con l'articolo 11 che rappresenta davvero un punto fondamentale della nostra Costituzione, del nostro vivere civile. Non è un articolo pacifista: è un articolo che ripudia la guerra, che è cosa diversa!
Oggi nel racconto, nella narrazione, nell'uso pubblico della Storia recente, la rappresentazione di ciò che viviamo quotidianamente, scusate la sintesi, è più o meno questa: si è manifestata una contraddizione e una crisi economico-finanziaria a partire dal 2008, che poi si è protratta per il decennio successivo, successivamente c'è stata una crisi pandemico-sanitaria, immediatamente trasferitasi sul piano sociale e in ultimo a queste due crisi si è aggiunta quella bellico-militare: la guerra!
Ecco questo racconto omette, in sé, la natura del messaggio che esprime l'articolo 11!
Noi non abbiamo avuto la crisi economico-finanziaria, la crisi pandemico-sanitaria e poi la crisi bellico-militare, noi abbiamo avuto la crisi economico-finanziaria, la crisi pandemico-sanitaria e quindi la guerra!
Quindi la guerra, come risultante e come strumento di risoluzione delle contraddizioni del sistema internazionale, del sistema economico internazionale. Ed è qui la centralità dell'articolo 11 che non a caso indica nel ripudio della guerra e nella guerra, lo strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Perché se il sistema capitalista scioglie le sue contraddizioni attraverso lo strumento della guerra ebbene la Costituzione repubblicana, che non è una Costituzione liberale, impone di non affrontare, di non sciogliere quelle contraddizioni con lo strumento bellico della guerra. Di nuovo una centralità ed una modernità della nostra Costituzione che restituita al suo significato profondo la svincola dall'uso pubblico della Storia, ne svincola il portato valoriale, ne svincola il precipitato del tempo trascorso e restituisce a noi uno straordinario strumento di cittadinanza, di partecipazione e quindi di libertà!

Risposte al pubblico:

Gladio:
Gladio naturalmente diventa un punto d'osservazione indispensabile per capire una parte della transizione italiana, perché colloca l'Italia dentro un contesto internazionale di ridisegno delle alleanze militari.
Stay-behind è un operazione che la NATO organizza su scala europea, chiaramente l'Italia diventa un punto fondamentale di osservazione perché posta esattamente sulla linea di confine tra est e ovest. E naturalmente diviene un elemento di continuità, da un lato con il reclutamento di personale ex fascista, dall'altro con una forma di assorbimento di formazioni partigiane, la Osoppo, che diventano strumento di controllo e verifica del processo democratico che dovrebbe essere libero nel nostro Paese.
Devo dire la verità, nelle inchieste che abbiamo condotto, che io nel mio piccolo, rispetto al lavoro enorme della Magistratura, mi sono trovato a condurre non abbiamo mai trovato responsabilità dirette di Gladio, per esempio nelle stragi, ma abbiamo trovato, molte volte, prove, documentazione della costruzione di strutture parallele o consequenziali a Gladio, che non facevano parte direttamente della struttura Stay-behind ma che ad essa facevano riferimento, mi riferisco per esempio ai Nuclei Difesa dello Stato, che includevano, organizzavano, arruolavano direttamente fascisti, personale fascista, che dalla metà degli anni '60 diventa personale politico nella disponibilità degli stati maggiori dell'Esercito.
A partire da una data molto precisa il 1965, a maggio di quell'anno si svolge a Roma un convegno all'Hotel Parco dei Principi, organizzato dall'Istituto di studi militari "Alberto Pollio", finanziato dal Ministero della Difesa, Ministro della Difesa all'epoca era Giulio Andreotti, che per la prima volta teorizza la guerra rivoluzionaria al Comunismo. Cioè l'intervento para-militare dentro la Democrazia conflittuale, costituzionale, costruita all'indomani della fine della guerra.
A quel convegno non partecipano soltanto Ministri, Capi di Stato Maggiore ma per la prima volta esplicitamente neo-fascisti: Pino Rauti, Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie. Da quel momento, dal 1965, le strutture di difesa Stay-behind diventano anche un luogo di reclutamento del neo-fascismo para-militare che verrà utilizzato da quell'anno in poi in chiave appunto eversivo-terroristica.

Il nesso tra la guerra e la crisi:
La guerra è l'espressione, l'esito, di un processo di crisi di lunga durata. Il sistema di costruzione della ricchezza, di accumulazione primaria della ricchezza, quando impatta, urta, contro un riassetto generale, diremo globale oggi…
Oggi viviamo non solo in un'epoca multipolare, anziché bipolare come durante la guerra fredda, ma viviamo in un'epoca multipolare in cui le potenze egemoni, che avevano governato la visione bipolare del Mondo sono anziché in ascesa in progressiva perdita di egemonia e contestualmente emergono, da questo processo di riassetto globale, nuove forze, nuovi Paesi, addirittura dei Paesi-continenti come la Cina, come l'India.
Ora questo riassetto eh non è pacifico, non potrà essere pacifico!
Il Dipartimento americano, quattro gironi fa ha pubblicato un report in cui esplicitamente si dice che dal 2025, quindi dopodomani, i può essere il pericolo di un conflitto, di un confronto militare tra Stati Uniti e Cina. Lo scrivono nero su bianco!
Perché questo riassetto globale appunto non è pacifico. Questa ridefinizione dei rapporti di forza, dei processi di accumulazione eh non sono pacifici e quindi di fronte alla crisi del sistema com'era si produce un conflitto.
Antonio Gramsci diceva che, quando un Mondo vecchio muore e un altro non può nascere, in quella zona grigia, possono emergere i mostri. Appunto il mostro della guerra!

Sull'amnistia Togliatti:
Mi scuso perché so di essere telegrafico in queste risposte ma per motivi ovviamente di tempo. Io credo che l'Amnistia Togliatti sia il vero Giano bifronte della Storia nazionale perché esprime il massimo della continuità dello Stato e il massimo della discontinuità dello Stato.
In questo caso, in questo senso, le date della Storia che abbiamo criticato all'inizio di questa mattinata possono invece esserci utili.
Alla fine della guerra si pone il problema di un'amnistia successiva alla guerra civile nel nostro Paese ma l'Italia, fino al 2 giugno 1946, è una Monarchia. E quindi l'amnistia, facendola il Re, dovrebbe essere promulgata da Casa Savoia. I gruppi dirigenti antifascisti, in particolare Togliatti e De Gasperi, iniziano uno scontro feroce, durissimo, con Casa Savoia. Le linee sono distinte, apparentemente dalle date, ma sostanzialmente dalla politica. I Savoia vogliono promulgare loro l'amnistia, prima del 2 giugno del 1946, nell'idea che se saranno loro a promulgare un'amnistia alle italiane e agli italiani fascisti, gli italiani che sono stati fascisti il 2 giugno promulgheranno col voto un'amnistia a Casa Savoia. De Gasperi e Togliatti vogliono che quel provvedimento venga promulgato su iniziativa del Governo e soprattutto dopo il referendum istituzionale.
E guardiamo allora le date: il 2 giugno 1946 si vota, per l'Assemblea Costituente e per il Referendum Monarchia-Repubblica e "l'amnistia Togliatti" viene promulgata il 22 giugno del 1946. Venti giorni dopo. Grazie a questo passaggio, grazie al fatto che l'amnistia viene promulgata nei tempi, nei modi e con la forma voluta dai partiti antifascisti quel referendum finisce con la vittoria, per un'attaccatura, due milioni appena di voti, della Repubblica sulla Monarchia, consentendo di chiudere i conti per sempre con Casa Savoia. Il massimo della discontinuità: la trasformazione dell'Italia da Regno in Repubblica!
C'è un dazio da pagare però. Il dazio da pagare è l'amnistia ai fascisti. Attenzione, amnistia ai fascisti per i crimini compiuti in Italia, nulla osterebbe a processare i criminali di guerra italiani che hanno compiuto reati all'estero, quelli sono salvati per ragioni di realpolitik che abbiamo provato a spiegare stamattina. E dunque "l'amnistia Togliatti" diventa un Giano bifronte un punto di svolta della Storia nazionale che porta con sé tutta la resa di complessità e contraddittorietà che un processo storico determina ogni volta che emerge dalle linee di faglia della Storia.

Linee guida e interventi MIUR:
Sulla questione del Ministero dell'Istruzione, sulle politiche diciamo attivistico-editoriali del Ministero dell'Istruzione noi ci troviamo di fronte a un processo che io definisco di "populismo storico" cioè un passaggio avanzato rispetto al revisionismo degli anni '90 e 2000. Il "populismo storico" a differenza di quel revisionismo, che era un revisionismo che veniva dall'alto ed era prodotto sostanzialmente da Élite, che miravano a mettere in discussione la radice antifascista della Repubblica, il "populismo storico" determina un rapporto dialettico tra una Elite che propone letture rovesciate della Storia e una base di massa, un sentito comune in grado di corroborare a livello di consenso, di base popolare, questo processo di "populismo storico".
Facciamo qualche esempio: alla fine della scorsa Legislatura i Senatori di Fratelli d'Italia presentarono in Commissione una proposta di equiparazione, rispetto all'insegnamento e al carattere storico dei due fenomeni, della Shoah e delle Foibe. Venne bocciata quella mozione ma dava il segno che dentro la società covava.
In una direttiva del Ministero dell'Istruzione guidato da Bianchi, quella stessa comparazione Foibe-Shoah, era riproposta e di nuovo dava il segno, il senso, di ciò che dentro il corpo della politica e della società italiana si muoveva, tendeva a muoversi. E' un processo quello del "populismo storico" fondamentale perché può arrivare laddove il revisionismo ha fallito.
Il revisionismo storico, nella sua rozzezza, si proponeva un'equiparazione Partigiani-Saloini, eccessivamente greve, urtante per le stesse Istituzioni della Repubblica. Certo quel tipo di revisionismo negli anni'90 e 2000 ha avuto una misura espansiva significativa, molto significativa, ma non ha raggiunto l'obiettivo dell'equiparazione, però, un ragionamento più raffinato diventa più insidioso e può arrivare a quell'esito. Perche?
Perché non i combattenti "tutti uguali" ma "le vittime tutte uguali"… perché se ogni vittima è uguale all'altra eh pure i carnefici diventano uguali. Si raggiunge lo stesso risultato attraverso una forma indiretta e quindi se Shoah e Foibe pari sono, eh beh, pure nazisti e Partigiani pari sono!
Il "populismo storico" si alimenta di questo rapporto empatico con la popolazione. Chi è che non empatizza con un testimone? Chi è che non prova una vicinanza, una prossimità con chi rappresenta un dolore: nessuno! Il punto però qual'è?
Se noi entrassimo in una stanza chiusa e trovassimo lì dentro due bambini di 5 anni che piangono la morte del papà, sarebbe impossibile per noi capire quale dei due bambini piange la morte del papà nazista e quale dei due bambini piange la morte del papà Partigiano. Perché il dolore sarebbe identico, indistinguibile.
Qui interviene la Storia! La Storia ci spiega perché se anche quando moriamo e finiamo sottoterra siamo tutti uguali, il giudizio storico su "chi siamo?" lo deve dare, appunto questa straordinaria disciplina giudicando quello che abbiamo fatto, in piedi, sulla terra!

Democrazia liberale:
Su questo noi dovremo fare una battaglia culturale molto forte a proposito del rapporto con l'Unione Europea.
L'Unione Europea porta con sé una contraddizione, a mio giudizio enorme, che è quella della omologazione costituzionale di tutti i Paesi che fanno parte dell'Unione.
Cioè, anziché valorizzare le Costituzioni di tutti i Paesi, che sono stati progressivamente associati all'Unione Europea, le Istituzioni comunitarie, hanno omologato queste Costituzioni attorno a dei Trattati unici per tutti i Paesi che cancellano, qualche volta impattano, urtano direttamente con carattere sociale antifascista di una Democrazia come la nostra.
Quante volte si dice e si esprime contraddizione, conflittualità tra una direttiva europea e la sua ricaduta in termini sociali, di occupazione, di diritti sul lavoro nel nostro Paese?
E quindi questo elemento, questa omologazione dello spazio europeo attorno al paradigma unico del mercato libero, ha prodotto questa conflittualità, ha prodotto questa condizione. I Trattati europei di Copenaghen del 1993 che aprono all'ingresso dei Paesi che oggi chiamiamo di Visegrad, l'Ungheria, la Polonia, cioè i Paesi governati dall'estrema destra del nostro continente, che rappresenta una spina nel fianco nella stessa costruzione sovranazionale europea, ecco quei trattati sanciscono e stabiliscono che per entrare a far parte dell'Unione Europea, si debba in maniera necessaria, indispensabile, assumere il "libero mercato" come organizzazione sociale della propria economia.
Questo passaggio diventa un passaggio di rottura rispetto alla grande eredità che l'antifascismo ha rappresentato sul piano europeo. Se c'è una cosa, un'esperienza storica, che tiene insieme la memoria pubblica di un norvegese e di un italiano, di un belga e di un francese, di un polacco e di un ungherese è la guerra al nazi-fascismo.
E' l'antifascismo, che viene però cancellato nella sua disposizione plurale dalla composizione di trattati e Costituzioni a modello e regime unico!
Sulla questione del rapporto duale, diciamo così, tra Costituzione repubblicana per come viene scritta e Costituzione materiale per come viene poi praticata c'è un articolo del 1983 di Gianni Baget Bozzo, che scrive un articolo sul "la Repubblica" il giorno in cui Mario Scelba chiude la sua carriera politica, era all'epoca Deputato europeo, svolge l'ultima seduta in Parlamento e si ritira a vita privata.
Quel giorno su "la Repubblica" Gianni Baget Bozzo, che è stato uomo vicino a Mario Scelba, scrive un articolo di commiato pubblico di quell'uomo politico così centrale nella fase di transizione e dice appunto, intitola quel pezzo, Mario Scelba l'uomo della dualità, della distinzione, tra Stato e Resistenza cioè tra come viene ricostruito lo Stato e come viene distinto il portato valoriale della Resistenza nell'ambito di questa costruzione.
Sono due elementi, due rette parallele, che non s'incontrano, spiega Gianni Baget Bozzo ed è rappresentato questo processo appunto dalla figura di Mario Scelba, che ricostruisce lo Stato ma lo fa appunto non in chiave costituzionale antifascista.
La continuità dello Stato lo vede architetto della non sostituzione dei fascisti e dell'esclusione dei Partigiani. Mario Scelba nelle sue memorie ricorda che lui stesso ha espulso nel 1947-48 5.000 Partigiani (oltre 8.000 ex Partigiani - Fonte Dizionario Treccani - Voce Mario Scelba - Ndr) che si erano arruolati nella Pubblica Sicurezza, perché comunisti o socialisti, e li ha sostituiti con 5.000 ex fascisti.
Questa continuità, l'abbiamo detto tutta la mattinata, ha una influenza decisiva sulla Costituzione, noi dovremo aspettare il 1956 per la messa in attività della Corte Costituzionale, cioè del massimo organo di controllo della costituzionalità delle leggi promulgate dal Parlamento. Il che significa che dal 1946 al 1956 tutte le leggi promulgate dal Parlamento non hanno avuto il controllo costituzionale!
Dovremo aspettare il 1955 per la nascita del Consiglio Superiore della Magistratura, cioè dell'organo che stabilisce l'indipendenza del potere giudiziario da quello politico, cioè la base di qualsiasi democrazia moderna!
Dovremo aspettare il 1970 per l'istituzione delle Regioni, il 1974 per la nascita dell'Istituto del Referendum, il 1981 per la riforma dello Statuto di Famiglia, che viva Iddio, abolisce il delitto d'onore in questo Paese… il 1981!
Dovremo aspettare il 2014 per l'introduzione nel nostro Codice di Procedura Penale del reato di tortura, in assenza del quale, le condotte, anzi cito testualmente la sentenza della Corte di Strasburgo, della Corte Europea di Strasburgo, in assenza del quale la più grave violazione dei diritti umani dalla fine della Seconda Guerra Mondiale su suolo europeo, cioè i fatti di Genova del 2001, non vengono affrontati giudiziariamente secondo la contestazione del reato di tortura che non era previsto dal nostro Codice ma vengono derubricati a semplici abusi, consentendo l'impunità per i responsabili!
Parlare della Storia di ieri ci consente di capire quale è stato il processo che ci ha portato a vivere la Storia di oggi.

Il ripudio della guerra:
Noi pensiamo appunto al nostro articolo 11, lo ripeto come ad un articolo pacifista, ad un articolo che non coglie invece il nesso tra il nostro modello di sviluppo, le sue contraddizioni e le modalità con le quali le classi dirigenti affrontano queste contraddizioni, affrontano queste conflittualità. Noi siamo un Paese particolare perché essendo una democrazia conflittuale, cioè una democrazia in cui il conflitto è riconosciuto come elemento fondamentale della Democrazia: fondamentale!
Siamo un Paese in cui, a fronte di questo, a fronte di una democrazia conflittuale, sancita per legge, le risposte delle nostre classi dirigenti sono state spesso di carattere para-militare. Facciamo un esempio l'applicazione dell'articolo 3, l'uguaglianza sostanziale la giustizia sociale si ha in Italia nel 1969 ad esito dell'autunno caldo, cioè della più grande mobilitazione, sindacale della storia della Repubblica, oltre 300 milioni di ore di sciopero, che producono appunto la riforma del diritto del lavoro, che appunto noi chiamiamo "lo Statuto dei lavoratori".
Con quel passaggio, si disse all'epoca, la Costituzione finalmente entrava in fabbrica, entrava nei posti di lavoro!
Ora lo Statuto dei lavoratori diventa legge il 20 maggio 1970 col voto definitivo della Camera che lo trasforma appunto in legge.
In realtà pero, lo Statuto dei lavoratori, in prima lettura, viene votato in Parlamento al Senato la mattina del 12 dicembre del 1969, quattro ore dopo esplodono le bombe a Roma e Milano! E' una risposta para-militare alla certificazione, alla sanzione della democrazia conflittuale, contro una democrazia conflittuale che vede nella partecipazione dei lavoratori e dei cittadini alla direzione della cosa pubblica un problema che si risolve come mai è stato risolto questo tipo di contraddizione nei paesi di capitalismo avanzato: l'Italia è l'unico Paese occidentale a democrazia moderna e matura che trova nel decennio '69 - '80 un numero di stragi, di tentativi di colpo di stato, che cercano di chiudere i conti definitivamente con la Costituzione nata il 25 aprile del 1945 e che fanno capo alla modalità, al modo respingente, reattivo, reazionario e regressivo che le classi dirigenti dell'epoca italiane hanno nei confronti della Costituzione repubblicana, vissuta come un problema, vissuta come un elemento frenante alla modalità di governo economico e sociale del Paese. Esattamente come scrive la JP Morgan nel 2013. L'Italia è un Paese in cui quella dimensione para-militare, attraverso l'utilizzo degli apparati di forza e della manovalanza fascista, diventa uno strumento di lotta politica, immette l'elemento para-militare dentro la Democrazia conflittuale, la distorce e produce appunto un carattere emergenziale della nostra Democrazia del nostro spazio pubblico non solo dal punto di vista delle leggi dello Stato, le leggi d'emergenza per esempio degli anni '70, ma anche dell'applicazione materiale della Costituzione. L'applicazione cioè del dettato che soprattutto nella prima parte indirizza quella che dovrebbe essere la funzione del Governo e del Parlamento attorno ai valori della Costituzione.
Le stragi in questo senso, e chiudo, rappresentano davvero uno spaccato d'indicibilità nel racconto pubblico della nostra Storia e il libro ("Sull'uso pubblico della storia" - Davide Conti - Forum Editore - Ndr) è arricchito da questa straordinaria carrellata di foto che ha realizzato un fotografo bravissimo, Pandullo, che ha ricostruito i luoghi sparsi in tutto il Paese in cui si sono consumati eccidi che hanno delle caratteristiche completamente diverse rispetto a quelli che noi normalmente nel nostro quotidiano siamo abituati a vedere.
Oggi, nei tempi moderni le stragi hanno una immediata qualità, sono immediatamente rivendicate, il terrorismo che si è manifestato negli anni 2000, dagli anni 2000, ha come caratteristica l'immediata rivendicazione, noi, un'ora dopo l'attentato, sappiamo chi è stato perché c'è una rivendicazione diretta!
Sono passati più di 50 anni e nessuna, proprio nessuna, delle stragi compiute in Italia è stata mai rivendicata, mai da nessuno, nemmeno da coloro che sono stati condannati come Fioravanti, Mambro, Ciavardini per la strage di Bologna perché le stragi non si rivendicano, le stragi rappresentano il cuore nero, il cuore di tenebra, del nostro Stato!
E quindi da quel punto noi dobbiamo avere la capacità di cogliere gli elementi regressivi ma anche gli elementi progressivi, perché ci fu una risposta!
Ci fu una risposta democratica a quegli eventi a quelle stragi!
Basta guardare il funerale delle vittime della strage di piazza Fontana a Milano, basta vedere le manifestazioni successive alla strage di Brescia che indicano i responsabili militari e politici di quelle stragi, indicano in quella classe dirigente, in quella classe economica… lo racconta benissimo Moro, prigioniero delle Brigate Rosse, quando i carcerieri gli fanno la domanda a proposito delle stragi, delle responsabilità della classe dirigente e Moro sibillinamente scrive nel suo cosiddetto "Memoriale": responsabilità che appartengono a quelli che la gente fischia in piazza a Brescia, durante i funerali per la strage di piazza della Loggia.
Ecco quelle immagini rappresentano anche una forza di riscatto rispetto all'esercizio del monopolio della forza imposta, all'utilizzo della violenza contro la democrazia conflittuale, all'utilizzo quindi dell'arbitrio sulla Costituzione e quindi tutto sommato ci insegnano anche che si può, si deve, è indispensabile insistere!

Gorizia, 4 febbraio 2023

Libri di Davide Conti:

Criminali di guerra italiani - accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra;
L'anima nera della Repubblica - storia del Movimento Sociale Italiano;
Gli uomini di Mussolini;
Prefetti, Questori e criminali di guerra dal Fascismo alla Repubblica Italiana;
Fascismo, Antifascismo e continuità dello Stato;
Storia del Generale Mario Roatta;
L'Italia di piazza Fontana - alle origini della crisi repubblicana;
Sull'uso pubblico della Storia.
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