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ANPI
Cividale del Friuli

Cosa è l'ANPI?

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L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) è un’associazione combattentistica di reduci della Resistenza, la Lotta di Liberazione dal nazifascismo che si svolse negli anni dal 1943-1945. Questa appartenenza si considera però estesa anche a coloro che si opposero, nel periodo della dittatura, al regime fascista.
Un fenomeno, questo della Resistenza, che si è sviluppato a livello continentale contro le occupazioni e le dittature nazifasciste ed è stata molto forte in paesi come la Grecia, la Francia e soprattutto in Jugoslavia.
Dal punto di vista giuridico l’ANPI è un ente morale, cioè è un soggetto giuridico al quale la legge attribuisce un giudizio meritorio legato, nel caso dell’ANPI, all’opera svolta dai Partigiani nel corso della Resistenza.
L’ANPI è un’associazione combattentistica per certi versi anomala perché il suo scopo principale non è quello di commemorare epiche battaglie o campagne militari, ma quello di tutelare e valorizzare il contributo offerto dalla Lotta di Liberazione contro l’occupazione tedesca e per la sconfitta del nazifascismo al fine di conquistare la Libertà per il nostro Paese in un regime di democrazia.
L’ANPI è stata costituita a Roma nel 1944 quando al Nord Italia la guerra era ancora in corso e solo a liberazione avvenuta si è sviluppata su tutto il territorio nazionale raggruppando le Partigiane, i Partigiani e i Patrioti che avevano partecipato alla Resistenza nelle varie formazioni che la costituivano.
Oggi, in relazione al tempo trascorso da quei fatti, i protagonisti diretti di quell’epoca sono rimasti molto pochi (a Cividale del Friuli l’ultimo Partigiano è morto nel 2021), ma l’ANPI ora raggruppa tutte quelle persone che, nel segno dell’antifascismo, si riconoscono negli ideali della Resistenza.
Con oltre 120.000 iscritti a livello nazionale, l’ANPI è impegnata a difendere i principi espressi dalla nostra Costituzione repubblicana che è frutto ed espressione dei sacrifici del popolo italiano e di tutti i partecipanti alla Resistenza.
Per ben due volte negli anni scorsi l’ANPI si è fatta promotrice, assieme ad altre associazioni e partiti, del voto negativo al referendum costituzionale, riforma che, a nostro modo di vedere, avrebbe snaturato i principi contenuti nella Carta costituzionale e che, a nostro avviso, vanno invece tutelati.
In linea di principio la nostra Costituzione può essere modificata e, in alcune parti, questo è già avvenuto, ma, secondo noi, l’assetto politico della Repubblica voluto dai Costituenti non deve essere intaccato nei principi di democrazia che ci hanno consentito di vivere in pace per tutti questi anni. La trasformazione per esempio della nostra Repubblica in una Repubblica di tipo presidenziale stravolgerebbe gli equilibri della Politica, della rappresentanza parlamentare che ne sarebbe quindi ulteriormente svilita. Questo non significa che vogliamo nascondere le attuali gravi problematiche di rappresentanza e di effettiva partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Per esempio la partecipazione degli aventi diritto alle votazioni è passata da percentuali che superavano il 92% nelle elezioni del 1948 al 72% delle ultime elezioni, peggio va per le elezioni dirette dei Sindaci che alle ultime elezioni hanno registrato percentuali di votanti inferiori al 50%.
Alcuni argomentano la necessità di modifica sostenendo che la nostra Costituzione, adottata nel 1948, è vecchia, ma la Costituzione degli Stati Uniti ha subito pochissimi cambiamenti pur essendo stata scritta nel 1787!
L’ANPI quindi è un’associazione politica non legata però a nessun partito e sicuramente slegata e ostile a ogni partito o movimento che non si dichiari antifascista.
Mettendo in conto la naturale scomparsa dei protagonisti diretti, l’ANPI è da sempre impegnata nella conservazione e nella tutela della memoria dei fatti della Resistenza, alcuni controversi, ricevuti in eredità dalle generazioni precedenti. Per tale ragione, già nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, l’associazione si è fatta parte attiva nella costituzione degli Istituti Storici per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età Contemporanea, una rete di una settantina di Istituti, dislocati a livello provinciale in tutta Italia, che fa capo all’Istituto Ferruccio Parri con sede a Milano.
Naturalmente questo è avvenuto anche nella nostra regione e in provincia di Udine. Nel 1970, infatti, fu fondato l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, tra i numerosi soci fondatori, Partigiani e antifascisti delle varie estrazioni, molti sono i nomi di spicco della resistenza friulana e nazionale.
Gli Istituti, ma anche l’ANPI stessa, si sono fatti promotori di ricerche storiche raccogliendo documentazione (cartacea, fotografica, audiovisiva) e pubblicando numerosi volumi finalizzati ad approfondire e rendere disponibile il patrimonio etico e civile dell’antifascismo e della Resistenza.
La Resistenza a livello nazionale ha raggruppato, per il tramite dei Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), i vari movimenti politici che dopo la capitolazione dell’8 settembre 1943 si opposero al nazifascismo.
A livello internazionale i Partigiani italiani furono numericamente significativi in seguito allo scioglimento dell’Esercito che era impegnato sui vari fronti nelle guerre di aggressione messe in atto dal regime fascista e dalla monarchia dei Savoia.
Gran parte dei militari italiani fu fatta prigioniera dai tedeschi e non aderì alla Repubblica sociale che venne costituita da Mussolini nelle zone occupate dai nazisti (cosa questa che determinò la guerra fratricida tra italiani). I reparti militari che si opposero furono presto sconfitti dalle forze naziste e intere divisioni di militari, come nel caso di Cefalonia, furono trucidate dai tedeschi. Altre divisioni come nel caso delle Divisioni presenti in Montenegro passarono integralmente a combattere assieme ai Partigiani jugoslavi.
E’ dopo l’8 settembre 1943 quindi che la Resistenza divenne movimento di massa, ma fin dall’instaurarsi della dittatura fascista ci fu chi si oppose alle violenze e alla cancellazione delle libertà. Per tale ragione queste persone furono deportate al confino, imprigionate e in molti casi assassinate.
Per quanto riguarda le nostre zone sia il Fascismo che la Resistenza assunsero caratteristiche peculiari rispetto al resto della penisola:
il fascismo, assumendo la definizione di “fascismo di confine”, voleva rappresentare la frontiera conquistata militarmente come baluardo della superiore civiltà italica contro nemici (interni ed esterni, reali o inventati) esibendo, un desiderio di potenza e di riscatto a nome dell’intera nazione. “Il fascismo locale si proietta sul palcoscenico della storia italiana come soggetto assolutamente speciale e indispensabile, in serrata concorrenza con gli altri fascismi della periferia nazionale.”
La Resistenza, in contrapposizione ai caratteri della dittatura, valorizza e sfrutta invece la vicinanza con le varie nazionalità presenti al momento all’interno del Regno d’Italia per stabilire alleanze e per opporsi in maniera unitaria alla politica di feroce snazionalizzazione messa in opera dal regime fascista.
Per fare un esempio potremo citare il tipo di rapporto che s’instaurò a livello della componente politica socialista con la pari parte politica slovena e croata contatti e prese di posizione che trovano conferma in una serie di articoli pubblicati negli anni ’20 del ‘900 sulla rivista teorica stampata a Parigi in clandestinità dal Partito Comunista d’Italia “Stato Operaio”. In quell’area di pensiero era dominante all’epoca l’ideale d’internazionalismo proletario in contrapposizione all’idea di nazione che tanti lutti aveva già prodotto nel nostro continente.
Attraverso quegli articoli emerge la denuncia delle persecuzioni patite dalle popolazioni slovene e croate, a tutti gli effetti sudditi italiani, ai quali però era precluso l’uso della propria lingua. Infatti, scuole e istituzioni furono italianizzate, fu proibito l’uso della lingua madre nelle amministrazioni pubbliche, anche i cognomi e i toponimi vennero modificati e il personale delle pubbliche amministrazioni sostituito con immigrati da altre zone d’Italia.
Cividale è in questo contesto trovandosi al confine etnico con la nazione slovena presente fin dal VII secolo nella Benecia (Valli del Natisone) che, pur avendo optato fino dal 1866 con un Plebiscito per l’annessione all’Italia, non vedeva riconosciuti i propri più elementari diritti. Nel caso della minoranza slovena molto importante, a sua difesa, fu il ruolo svolto, nel ventennio ma anche dopo la Liberazione, da parte del Clero locale pur non avendo, quest’ultimo, il supporto dei vertici ecclesiastici.
Anche Cividale, negli anni del fascismo, aveva i suoi perseguitati, persone che si opposero al regime e per tale ragione furono sottoposti a incessanti controlli di polizia. Un’ottantina di loro compaiono negli archivi del Casellario politico centrale che era un ufficio della direzione generale della Pubblica Sicurezza che aveva il compito di curare il sistematico aggiornamento dell’anagrafe dei cosiddetti “sovversivi”.
Nel 1932, anno nel quale il regime fascista era ormai consolidato nel Paese, si svolge a Cividale lo sciopero degli operai dell’ Italcementi, a causa delle pesantissime condizioni di lavoro e della pesante riduzione delle paghe. Un fatto d’inaudito coraggio che portò a conoscenza della popolazione che esisteva un’opposizione al regime. Gli operai ottennero dei miglioramenti ma l’anno successivo, a seguito delle indagini condotte dalla polizia fascista, 70 comunisti vennero arrestati a Cividale per 11 di loro ci furono condanne varianti da 3 a 8 anni di carcere.
Nell’aprile del 1941, l’aggressione al Regno di Jugoslavia da parte dell’Italia, aveva trasformato i movimenti indipendentisti sloveni e croati, già presenti nell’area, in un vasto movimento che operava anche sul piano militare con attentati e sabotaggi.
La vicinanza e i contatti esistenti tra gli antifascisti italiani e sloveni fecero si che nel territorio di Cividale, già nella primavera del 1943, si formasse il primo distaccamento partigiano Garibaldi, una formazione composta da pochi uomini ma organizzati completamente in maniera autonoma e in contatto con la Resistenza slovena.
In data successiva all’Armistizio, l’afflusso nelle formazioni partigiane divenne più consistente, a metà settembre del 1943, sul Monte Corada, a poca distanza da Cividale, prestò giuramento la prima Brigata Garibaldi d’Italia e nello stesso periodo si formò una delle prime repubbliche partigiane sul territorio italiano “la Repubblica di Caporetto” che per 52 giorni impedì l’occupazione tedesca e amministrò un vasto territorio che si estendeva fino alla porte di Cividale.
Una seconda zona libera venne istituita nell’estate del 1944, nel territorio dei comuni della pedemontana a nord di Cividale (Faedis, Nimis, Attimis, Lusevera, Taipana e Torreano).
Le vicende della guerra, la cui fine sembrava imminente, cambiarono e un lungo inverno si preparava per le formazioni partigiane che dovettero subire la violenta repressione e la riconquista dei territori liberati, nel Friuli orientale e in Carnia, da parte dei nazifascisti.
Questo costrinse la stremate formazioni partigiane della Divisione Garibaldi Natisone a trasferirsi in territorio etnicamente sloveno pena la completa distruzione del proprio potenziale offensivo.
Per tale ragione tanti caduti italiani e cividalesi sono ricordati in monumenti realizzati nell’attuale territorio della Repubblica di Slovenia.
La Divisione d’assalto Garibaldi Natisone, con i suoi circa 5.000 combattenti è stata la formazione partigiana più numerosa d’Italia.
Le colline attorno alla Città e le frazioni non rimasero comunque sguarnite dal presidio partigiano operato dalle brigate SAP (Squadre d’Azione Patriottica) e GAP (Gruppi d’Azione Patriottica) e dalle brigate delle formazioni d’ispirazione cattolica Osoppo, l’unità di queste formazioni con la partecipazione dei partigiani sloveni consentì la liberazione della nostra Città il 1° maggio 1945 prima che vi arrivassero le truppe neozelandesi.
Di questi fatti ci resta la memoria che ci è stata tramandata dai Partigiani che abbiamo avuto il piacere di conoscere, dai riconoscimenti ricevuti da oltre 200 partigiani, dai 74 caduti cividalesi, dalla Medaglia d’Oro al V.M. concessa al Partigiano Manfredi Mazzocca a cui è anche intestata l’aula magna del Liceo Paolo Diacono, dalle Medaglie d’Argento al V. M. concesse ai partigiani Mario Lizzero, Gino Lizzero, Attilio Ruttar, Rino Blasigh, Odorico Tosoratto e Giuseppe Garibba e dai monumenti che ricordano i caduti per la Liberazione della Città e i fucilati al Campo sportivo e alle “Fosse del Natisone”.
Un’approfondita ricerca sulla Resistenza cividalese non è stata ancora fatta ecco perché auspichiamo una ricostruzione più approfondita della Lotta di Liberazione nel nostro territorio.
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