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ANPI
Cividale del Friuli

il sistema sanitario sloveno
nella guerra partigiana

intervento di Jože Pirjevec

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-Quando vedo in questi giorni su Al Jazeera le immagini spaventose provenienti dalla Quando in questi giorni vedo su Al Jazeera le immagini spaventose provenienti dalla striscia Gaza, penso ai nostri partigiani che hanno vissuto durante la II Guerra Mondiale una situazione simile. Anche loro furono attaccati in modo durissimo dalle truppe di occupazione e i loro feriti in Bosnia, in Erzegovina, in Montenegro e in Croazia furono eliminati in maniera atroce. In Slovenia le cose sono andate diversamente.
Nelle regioni meridionali della Jugoslavia, legate alle tradizioni del periodo ottomano, c’era l’usanza di non abbandonare i feriti in combattimento. Era tipico della lotta contro i turchi che le piccole bande guerrigliere portassero via con sé i feriti negli scontri. Un comportamento analogo fu tenuto dalle truppe partigiane nel corso della II Guerra Mondiale, l’esercito dei combattenti era molto numeroso e anche i feriti e gli ammalati, specialmente di tifo, erano tantissimi.
In condizioni di scarsa attenzione per l’igiene, il tifo si diffondeva rapidamente grazie anche all’azione delle pulci. I partigiani serbi e musulmani venivano spesso colpiti dal tifo, una malattia difficile da guarire che lasciava segni pesanti e i malati venivano portati via in barella e altri mezzi di fortuna.
Vladko Velebit, uno dei maggiori collaboratori di Tito, croato e dopo la guerra importante diplomatico jugoslavo, disse che quando Tito si ritirava da una zona si portava dietro un macigno legato al collo rappresentato da migliaia di malati e feriti. La loro presenza ostacolava la mobilità e la rapidità delle truppe.
L’impatto psicologico di questo modo di agire sulle truppe e sui malati era enorme perché i partigiani sapevano che, una volta feriti o malati, non sarebbero stati abbandonati e che i loro compagni avrebbero avuto cura di loro.
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Le battaglie della Neretva e della Sutjeska costituiscono i momenti più epici della storia dell’Esercito Popolare di Liberazione. Nel marzo del 1943, sul fiume Neretva, i partigiani circondati da un lato dalle forze nazifasciste e dall’altro lato del fiume dai cetnici, riuscirono a sottrarsi all’accerchiamento utilizzando come passaggio una passerella costruita su un ponte ferroviario danneggiato. Su di esso passarono le truppe partigiane e i feriti che così furono portati in salvo.
Nella battaglia della Sutjeska svoltasi fra il marzo e il giugno del 1943, le truppe partigiane circondate da tedeschi, italiani e cetnici, riuscirono a sfuggire all’accerchiamento aprendo un varco nella cerchia nemica, ma dovettero abbandonare i feriti e i malati. Questi furono nascosti in grotte e in luoghi sicuri, ma furono individuati dai tedeschi che, con l’ausilio dei cani, riuscirono a scoprirli. Furono tutti uccisi in una carneficina spaventosa.
In Slovenia le cose andarono diversamente perché fin dall’inizio della Resistenza, quando la direzione del Fronte di Liberazione fu spostata da Lubiana nella Dolenska e nelle foreste di Kocevje, si costruì vicino un ospedale ben fornito e attrezzato, con materiale sanitario proveniente da Trieste e da altre zone d’Italia.
Durante l’offensiva italiana dell’estate del 1942 questo ospedale fu scoperto e distrutto, ma i feriti ricoverati in esso furono sgombrati poco prima dell’attacco e portati in nascondigli preparati in precedenza con perdite minime.
Furono costruiti poi ben 200 ospedali grandi e piccoli nascosti così bene da non essere scoperti. Erano baracche collocate in aree di difficile accesso e gli stessi infermieri, medici e feriti trasportati in ospedale, prima di accedere all’ospedale venivano bendati per evitare che, se fossero caduti in mano tedesca, potessero dare informazioni utili a rintracciare la struttura sanitaria.
L’efficienza sanitaria di questi ospedali fu molto buona grazie alla presenza di molti giovani medici che si erano associati alla lotta partigiana. All’inizio della guerra c’erano in Slovenia circa 720 medici e di questi circa 200 collaborarono attivamente nella lotta di liberazione. Quasi tutti i medici che aderirono alla lotta partigiana erano giovani perché la guerra partigiana con le sue difficoltà e le sue asprezze non poteva essere praticata, fra i monti e nei boschi, da persone sopra i 35-40 anni.
La guerra partigiana in Slovenia fu condotta dal Fronte di Liberazione che era una associazione di forze cristiane, liberali e comuniste con intellettuali che hanno lasciato una forte impronta nella vicenda partigiana slovena.
Un medico neozelandese che aiutò i partigiani in Bosnia e Croazia disse di essere rimasto sbalordito dall’efficienza e dalle dotazioni degli ospedali partigiani sloveni. Ospedali efficienti posti in località quasi inaccessibili e ben nascosti con numerosi espedienti adottati per non lasciare tracce che permettessero la loro localizzazione.
Anche l’igiene personale era più curato perché le masse contadine del nord erano culturalmente più avanzate che nel resto del paese.
In alcune zone del sud poteva succedere, per scarsa consapevolezza dei rischi per la salute, che i partigiani bevessero l’acqua di un ruscello posto poco a valle dello scarico della macelleria della cucina partigiana.
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Un giovane medico svizzero Paul Parin di origine ebrea triestina, che aveva deciso di andare ad aiutare i partigiani jugoslavi, segnala nelle sue memorie che in Montenegro molti feriti avevano degli attacchi isterici molto forti e che il fenomeno era molto diffuso. In Slovenia non registrò questo fenomeno che attribuì, in quanto psicologo, ai tabù di natura sessuale che nel sud jugoslavo erano forti e pervasivi. Anche la disciplina partigiana era durissima e avere un rapporto sessuale con una ragazza comportava la fucilazione. In Slovenia la disciplina non era così rigida anche perché nei partigiani sloveni, in gran parte contadini, i retaggi tradizionali legati a un mondo arcaico patriarcale erano piuttosto labili.
La sanità partigiana slovena era ottima e gli sloveni hanno mostrato nella sua realizzazione e organizzazione un notevole ingegno. Verrebbe da dire che se questa genialità e capacità organizzativa fossero ancora oggi presenti, molti problemi attuali in Slovenia sarebbero in via di risoluzione.

nota della redazione: il testo sopra riportato riporta i passaggi a nostro avviso più significativi dell'intevento del prof. Jože Pirjevec, sulla organizzazione sanitaria partigiana in Slovenia.
La foto riportata nella pagina mostra il dottor Elio Canevascini di Tenero (CH) a cavallo durante uno spostamento del convoglio dell'ambulanza della Centrale Sanitaria Svizzera sul fronte jugoslavo.
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